A LA
CALABRIA
Mite Calabria, dormi ed io ti piango
In questa stanza desolata, oscura...
Piango la tua sventura
E maledico chi ti vuol nel fango.
A te speme non ride, nè parole
Consolan – dormi – e chi ti veglia mai?
Invan da tanti guai
Cerchi fra i poltri figli chi t’invole.
Gemi, che sol col pianto sfogar puoi
L’affanno che da secoli t’opprime;
E l’alte fibre e l’ime
Scota il singulto e svegli in te gli eroi.
Chi ti maltratta con favella atroce,
Chi ti chiama una quercia senza ramo,
Io solo, io solo t’amo
E piango il tuo abbandono ad alta voce.
Vorrei poter lenire il tuo dolore,
Vorrei poter da l’imo sollevarti
E per le vie lanciarti
Dove pulsa l’industria ed il vapore.
E vorrei dire ai tuoi politicanti
Con parola di sdegno e di rampogna:
Deh, vi muova vergogna
Del vostro oprato di politicanti.
La Calabria, perdio, non serve ad altro
Che a pagare le tasse e a far da soma:
Nella regale Roma
Al parlamento, v’è ‘l Ministro scaltro.
Noi siamo figli d’una madre altera
E ‘l nostro sangue alfine si ribella.
Noi siam del Campanella
I pronipoti; e come lui la fiera
Anima abbiamo. Poi la storia nostra
Vale la Storia de’ migliori esempi;
E ne’ remoti tempi
Magno fu il nome della terra nostra.
Ci colse strage nel tempo lontano:
Etna ci desolò per anni ed anni
E ci coprì d’affanni;
Ma risorgemmo dall’eccidio umano!
E nel sessanta pure noi sapemmo
Dal secolar nemico liberarci;
Garibaldi donarci
Seppe la libertà, che difendemmo.
Noi dell’Italia tutti figli siamo;
E sul Carso e Trentin duro, a coorti
Abbiamo i nostri morti
Per la Patria comun, che tanto amiamo.
Perchè dovremo ancora noi languire
Sì dopo tanti sacrifici e pene?
“Pronti ai tributi?” Ebbene
Giuste leggi dovrete a noi elargire.
Donarci industrie e traffici ne’ porti,
Come nel settentrion d’Italia altera;
E la Calabria, fiera
Del suo passato e de’ suoi grandi morti,
Risorgera più bella; e avrà de’ beni
Immensi: ricca le daremo il nome
Ancor di Magna, come
Ne’ tempi degli antichi e forti Elleni.
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