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GIUSEPPE VONO Nacque anche lui a Curinga il 4 gennaio 1891.

Apprese i rudimenti del sapere alla scuola elementare del paese, che ancor ragazzo lasciò per frequentare la bottega del padre sarto. In breve divenne abile nel mestiere facendosi notare per la bravura nella esecu­zione dei lavori.

Che fosse sarto di valore l'attestano medaglie e diplomi conseguiti più volte al concorso bandito dalla rivista "Moda maschile". Fu sostanzialmente un ingegnoso autodidatta che da solo andava scucendo i modelli e le confezioni che gli capitavano sottomano per apprendere il criterio e sperimentarlo alla perfezione.

Ma con il mestiere andò incontro a momenti di scarsa richiesta e di inattività coatta.

Ancor giovinetto, nel 1905, esercitando la sua argu­zia nel gioco delle rime, componeva qualche poesia ca­ratterizzata particolarmente da pienezza sentimentale, da accostamenti forzati, da ragionare retorico, da sen­tenziosità.

La vera produzione vien fuori nel corso degli anni 1929-30 e seguenti, con intervalli, fino agli anni '60.

Abbondante e varia ma di scarso valore risulta la rimeria del periodo militare, che il nostro trascorse a Benevento.

Ritornato in paese, partecipò alla lotta politica militando fin dal 1919 nelle file del partito socialista. Fece parte dell'ala turatiana, idealista - umanitario - radicale.

In una comunità prettamente agricola in cui emergevano appena pochi professionisti (impiegati), autodidatti, durante il periodo pre - e fascista la vita di pensiero del paese si conduceva con scambi fra "intellettuali", i quali costituivano qualcosa di simile ad un cenacolo culturale: nel negozio di tessuti di Bruno Sgromo. Ebbene, col passare del tempo il sodalizio dava buoni frutti mentre la frequentazione favoriva gli scambi e gli arricchimenti di natura letteraria in quelle fervide menti.

Intanto, nel maggio 1922 sposò Maria Buraggina, figlia di un piccolo proprietario di terre; ne ebbe nove figli, quattro dei quali morti in tenera età. I nomi di essi, datala devozione ai grandi della letteratura, richiamano quelli di Parini (Giuseppe), dell'Alighieri (Dante), di Saba (Umberto,) dell'Alfieri (Vittorio), del Manzoni (Alessandro).

Oltre che, in precedenza, sulla Gazzetta di Benevento, andava pubblicando sue poesie su La voce dei Cala­bresi di Buenos Ayres, e a volte anche per radio, sem­pre in Argentina. I rapporti con paesani emigrati in quella nazione divennero stretti, tanto che con il loro contributo e con la solidarietà degli amici e degli estimatori si raccolsero, in anni in cui il capitale, in mano a pochi privilegiati, non circolava tra il basso popolo, mille lire, con la qual somma fu realizzata una biblioteca pubblica. Invero il podestà del tempo tentava di scoraggiare l'iniziativa proprio perché lui stesso, suo malgrado, sarebbe venuto a trovarsi presidente di una istituzione di pretta marca antifascista; ma si superò l'ostacolo facilmente, poiché fu delegata a presiedere altra persona.

Da socialista, egli tenne varie volte discorsi a sfondo sociale, malvisto dalle autorità del tempo e dagli uomini di mente retriva. Anche per questo, in seguito a un certo subbuglio subì, insieme ad altri, un processo in cui gli fu comminato un mese di carcere. Ecco cosa era avvenuto in quel lontano 1921.

Il 2 novembre, solenne ricorrenza, si commemora­vano i defunti con cerimonia ufficiale.

Accanto a questa, si tenne una manifestazione parallela, ad opera di dissenzienti, con bandiere rosse, appartati rispetto alle "autorità" : fatto, questo, che subito non andò a genio ai corrugati amministratori. Dopo una breve mischia e un principio di alterco, per fortuna senza conseguenze, dinanzi al cimitero, i composti "manifestanti" furono fermati e denunciati.

Al processo che ne seguì parecchi cittadini furono condannati a brevi pene detentive, poco dopo annullate da regolare proscioglimento.

Altra futile vicenda giudiziaria si ebbe verso gli anni '30-31. La vita del paese si animava con le squadre sportive di calcio (era negli intenti del governo di allora incrementare le gare sportive e sollecitare lo spirito di agonismo nei giovani e nei meno giovani per nascondere i reali problemi sociali).

Si tenevano frequenti incontrisfida con le squadre di paesi vicini. Il pubblico tifava a maggioranza per la seconda compagine calcistica, la quale non riusciva quasi mai ad imporsi e a vincere.

Or dunque, in quei giorni era apparso nella frazione ACCONIA un insolito manifesto murale su cui tra l'altro si leggeva:

DOMANI TUTTI A CURINO A AD ASSALTARE L'ESATTORIA LE TASSE NON SI PAGANO ABBASSO MUSSOLINI AL SEGNALE DEGLI SPARI CONVENITE TUTTI IN PIAZZA!

La cosa venne alle orecchie della forza pubblica, ed il maresciallo del tempo informò il comando legione carabinieri: mentre la popolazione nulla sapeva del manifesto. Ignorando del tutto la cosa, i curinghesi in massa si erano recati ad assistere alla partita. Verso la conclusione dell'incontro, caso volle che esultassero di gioia per la vittoria della seconda compagine. Uno sportivo fece scoppiare in aria un petardo (interpretato, dai militi, come "il segnale" del manifesto). Tornati in paese, si scese in corteo in piazza a festeggiare. Sennonché, nel passare davanti all'esattoria, i giovani si videro fermare dagli uomini in divisa senza un motivo plausibile.

Gli esponenti sportivi, indiziati dell'intenzionalità di un delitto — l'assalto all'esattoria — di cui nulla sapevano, furono cacciati in carcere. Nonostante l'intervento del segretario del fascio locale la cosa andò avanti, ed al processo si ebbero due condanne a sette mesi e numerose altre di un mese ciascuna.

Altra notazione. Alla fine della guerra, anche dopo l'armistizio di Cassibile i vecchi amministratori fascisti non accennavano a volersene andare. Per reagire a tale abuso continuato, il popolo il 18 ottobre incendiò la casa comunale.

Abbiamo qui inserito alcuni avvenimenti — sia pur discontinui e sconnessi — perché in essi, oltre che nella piatta quotidianità, visse l'autore il quale, spirito mite ed equilibrato, nel corso di ribellioni e rigurgiti popolari e rivolte scioviniste o appena di contrasto e di ripicca (che sarebbe lungo elencare) cercava sempre di fare opera di persuasione nei confronti dei più esagitati e dei più disperati. Nelle condizioni miserevoli del tempo serpeggiavano lo scontento e il dissenso, l'orgoglio e la brama di libertà. Il nostro incarnava il tipico atteggiamento di prudenza e di attesa, di assuefazione, che fa prevalere la ragione quando le cose stanno per mettersi male (fra Tommaso Campanella in Calabria non fa scuola, rimane una singolare eccezione!).

Giuseppe Vono chiudeva la sua esistenza, compianto dai figli, da estimatori e amici, il 9 settembre 1975.

 

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