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GIOVAN BATTISTA VONO Di modesta famiglia curinghese, nacque il 12 novembre 1898.

Crebbe allegro, vivace fra i giochi spensierati dei coetanei.

Insofferente delle costrizioni, diligente a suo modo nel seguire i rudimenti del sapere presso le scuole del paese, fu avviato anche, avendo dimostrato ingegno a-perto e propensione agli studi, a qualche corso supplementare di lezioni. Ma proprio quando ormai l'inclinazione diveniva, o stava per divenire assuefazione, quando già egli prendeva a gustare il piacere della conoscenza, per le precarie condizioni economiche della famiglia veniva av­viato al lavoro di sartoria, per il quale non si riteneva adatto: spirito ribelle, non gli andava di star fermo, costretto al chiuso ed alla monotonia; soffriva per il fatto di essere inutilizzato, anche perché sentiva struggente il richiamo della vita all'aria aperta, al movimento, ai contatti umani. La costrizione esplodeva, nel grigiore e nella piattezza della vita militare, a Trapani, dove il suo spirito inquieto trovava la via d'uscita (e forse di riscatto) nel verseggiare, nel trasfondere sulla carta la piena dei sentimenti dell'età giovanile. E' di quel periodo una serie di sonetti e di composizioni di vario metro che costituiscono il sostrato sentimental - romantico del giovane sognatore. Accanto a quella che può considerarsi — in queste prime esercitazioni — la « scoperta » del mondo e delle sue varietà, stanno talune immagini preziose, una certa problematicità del vivere.

Di ritorno al paese natale, fondò e diresse, con la collaborazione di amici e sodali, una compagnia filodrammatica — di certo sopravvenuta al seguito delle indimenticabili esperienze della vita di soldato —, che ancor oggi quelli di solida età ricordano e rimpiangono. L'organizzazione di essa divenne il principale diversivo ( per quel che sì vedrà), la passione, l'attività pratica che lo tennero per molti anni impegnato.

Nel teatro, nella intelligente ricostruzione dei sentimenti e dei fatti della vita era la sua propensione. I meno giovani ricordano ancora le rappresentazioni di: «Le bocche inutili», di Annie Vivanti; «La paten­te », di Pirandello; «II coraggio », ed altre. Fra i dram­mi, si diedero « Senza dimani », di Nicola Misasi, « II Maledetto », dai Masnadieri, di Schiller; e poi un'opera liturgica, « La passione di Cristo », condotta sulla falsariga di un manoscritto di autore ignoto, forse proveniente da Nicotera.

Va notato che gli spettacoli, il cui ricavato si risolveva in beneficenza per i poveri bisognosi, si ripeterono con successo tra la popolazione del luogo e di altri centri viciniori.

Tali manifestazioni (abbastanza « impe­gnate », per quei tempi) resero un ottimo servizio alle incolte e « chiuse » masse popolari, ma al contempo fruttarono soltanto momenti di gloria effimera al giovane intraprendente, il quale ebbe a vivere di solito negli stenti e nelle ristrettezze.

Prima ancora di tali esperienze, poco più che ven­tenne, il Vono non volle adattarsi ad impigrire in un qualunque impiego pubblico, che pure gli veniva offerto, poiché per temperamento tendeva a non sciupare la sua libertà di pensiero e d'azione. In seguito, allorquando le dimensioni della realtà gli si mostrarono in un ben diverso aspetto e quando tristemente ebbe ad accorgersi che pure bisognava, con essa, « fare i conti », i possibili approdi impiegatizi gli vennero negati perché antifascista dichiarato, restio ad abbassare la testa, tribolato - orgoglioso. La mancata collocazione, lo scarso lavoro di sartoria, l'assillo di fare qualcosa di buono sollecita­rono maggiormente in lui la molla dell'impegno poetico.

A ciò si aggiungeva un amore folle, totalizzante, che ormai avvolgeva e sconvolgeva il giovane malinconioso e sognatore: una bella ragazza del paese, di venti anni più giovane, certa Bettina. In considerazione della differenza di età tra i due, i genitori di lei si opposero ad un eventuale legame che, comunque, ad onta di chiunque, sì mantenne saldo, integro, convulso, illuminante nello spirito e nella fantasia del nostro.

Da questo diniego derivò, oltre al poetare appassionato, un mutamento nella vita di lui che, estroverso ed affabile con gli altri, si diede a far lo scapolo disordinato, randagio, immusonito con se stesso: appariva di frequente allegro e vivace con gli amici, ma nero e accigliato nel ritrovarsi, in solitudine, davanti al suo fantasma di donna, che era d'altronde la sua Laura, la sua unica ispiratrice.

L'amata costituiva una presenza inseparabile (anche se platonica) durante le giornate noiose, come pure durante l'assiduo ritorcimento sui versi che man mano venivano fuori, prodotti in prevalenza da immediati im­pulsi e lacerazioni del cuore. Incoraggiamenti all'impe­gno non erano mancati.

Sia pur attraverso « canali » minori, le piccole riviste e il mondo letterario paesan - regionale, il Vono otteneva qualche favorevole giudizio e qualche riconoscimento, non ultimo il premio di poesia dialettale « Città di Catanzaro », nel 1954. Innumerevoli furono le carte riempite o abbozzate di versi. Il rovello della composizione, della scrittura, dell'esperienza si faceva sempre più febbrile.

Nel gran disordine, di vita e di scritti, era venuto su con una buona raccolta se, come risulta, a tarda età ha tentato di far pubblicare i vari momenti del suo testamento poetico, della travagliata vicenda sentimentale. Si era messo in contatto con la S.I.A., un'editrice di Bologna fallita qualche tempo dopo (alle soglie del '60).

La casa — co­me risulta da alcune lettere — richiedeva un contributo di lire 15.000 all'autore che, ridotto povero in canna, non potè disporre della somma e non ne fece niente (Presso la stessa editrice andò smarrito il manoscritto originale).Fallita l'ultima grande illusione, il vecchio « zia Titta », come affettuosi lo chiamavano in paese, si ridusse a vivere, amareggiato, in una costante solitudine.

A rimetterlo in sesto non potevano bastare, ormai, le attenzioni dei familiari e dei nipoti, cui era molto legato. Di lì a poco, a colmare la misura, superati gli anni della maturità, sopravvennero gli acciacchi e le sofferenze. E in breve immusoniva dinanzi al franare dell'esistenza stessa, che riteneva ormai vuota e insignificante.

Di ritorno da una lunga degenza in ospedale, ancora infermo morì, improvvisamente, il 2 agosto 1971. Tante sua carte manoscritte, sparpagliate di qua e di là per la casa, andarono disperse per incuria e per ignoranza.

Al nipote Giuseppe Vono, geloso custode di tanti di quei lavori, esprimiamo, anche a nome dei lettori, un vivo ringraziamento: per merito suo è possibile offrire alla conoscenza alcune pagine inedite del patrimonio culturale e letterario calabrese.

 

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