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Tra storia e leggenda.

La fiera dell'Immacolata,

come nasce e perchè; due articoli di:

Cesare Natale Cesareo e Giuseppe Calvieri

 

 

   Curinga, 08 ottobre 2019

 

Terza Domenica di Ottobre.Fiera dell’ Immacolata: Tempo di Bettole e Ferari

Di Cesare Natale Cesareo

 Le nostre considerazioni non vogliono essere storia, ma il rispondere ad una domanda che i più giovani forse si pongono

Perchè la fiera dell’Immacolata ,il vino bianco e le bettole a Curinga, la terza domenica di ottobre?

Cominciare da troppo lontano nel tempo sicuramente sarebbe un azzardo, quindi confidiamo su delle supposizioni logiche e su quei pochi dati della tradizione che abbiamo e conosciamo.

Il triduo religioso con la fiera cadono a cavallo della terza domenica di ottobre e viene comunemente detta “A Mmaculata d’a χera” per distinguerla dalla solenne festa che si svolge in tutto il mondo l’8 dicembre.

Perché quindi, in questo periodo “strano” questa festa dedicata all’ Immacolata?

Nella perenne lotta di supremazia delle congreghe che esistono a Curinga, probabilmente per dare un maggiore risalto alla congrega dell’ Immacolata, questo triduo è stato legato ad una grande fiera autunnale. Questi eventi possono essere nati in concomitanza della fondazione della congrega stessa che risale al 1777. Sappiamo come le economie, fossero legate a filo doppio al mondo agricolo, basato soprattutto sulla coltivazione della vite, degli ulivi e dall’ allevamento degli animali domestici, importantissimi ed essenziali per il sostentamento delle famiglie.

Or dunque, creare una grande fiera l‘ 8 dicembre per la solennità dell’ Immacolata, sarebbe stata a rischio eventi metereologici e forse non sarebbe servita allo scopo che si prefiggeva, cioè mettere a disposizione dei curinghesi merci di ogni genere: terre cotte argagni (tiesti, mbumbuli, pignati, limbi );oggetti di vimini e canne (cisti, panara, criva);  Manufatti in legno ( sieggi, majddi , casci, pirruocciula, cucchiari;)

Oggetti di rame: (coddari, vrascieri, pentole;) oggetti di alluminiogiarre, stagnati, cannate, misure varie) inoltre, utensili per il lavoro dei campi e dell’ artigianato, stoffe, scarpe e gli animali, primi tra tutti il maiale e l’asino, che entravano a pieno titolo a far parte della famiglia insieme agli animali da cortile, galli, galline, conigli, ecc.

I soldi che circolavano nel paese erano veramente scarsi ma nonostante tutto, quello era il momento di acquistare e vendere, farsi venditori e compratori; e si vendeva di tutto, le famiglie mettevano sui banchi le proprie produzioni: lupini, ceci, fagioli, favino, il primo olio e il primo vino. Questi due ultimi prodotti hanno, come vedremo, un importanza strategica per l’economia del paese

La raccolta delle olive iniziava praticamente a fine agosto (scarma d’agustu) e proseguiva nell’ anno di carica fino a marzo aprile. Per le raccoglitrici di olive e i braccianti, la prima paga del lavoro fatto avveniva in concomitanza della fiera dell’Immacolata, ecco quindi la disponibilità di soldi freschi da poter spendere in fiera o pagare qualche debito fatto. (Per amor e di cronaca le raccoglitrici venivano nuovamente pagate poco prima del Santo Natale e a fine campagna olearia.)

Altro fatto importante il famoso vino bianco di “Salici e di Trimalu” (luoghi votati esclusivamente alla coltivazione della vite)

Credo che Curinga abbia questo primato in Italia , di essere il primo posto dove si beve il vino novello. Le uve vengono vendemmiate a fine agosto o i primissimi giorni di settembre, le botti spumeggianti vengono spillate per la fiera dell’ Immacolata

 

La fiera faceva affluire a Curinga centinaia di χerari e migliaia di persone che accorrevano dai paesi limitrofi a fare acquisti

Come ben si intuisce non essendoci macchine, camion, furgoni, gli unici mezzi erano asini, muli e carri. I “commercianti” arrivavano qualche giorno prima per occupare i posti migliori e quindi bivaccavano in paese per più giorni fino al termine della fiera.

Bisognava industriarsi per dare da mangiare a tanta gente, e chi meglio delle bettole potevano offrire un riparo, un pasto caldo e vino a volontà? Oltre alle bettole ufficiali ognuno si adoperava per dar da mangiare ai χerari e alla gente che veniva da fuori. Si arredavano alla meno peggio cantine e magazzini dove il vino bianco ancora ribolliva allegro in botti di legno.

Si mangiava quello che la natura e la casa offrivano, essenzialmente prodotti di stagione: fagioli con olio nuovo, peperoni e patate, olive schiacciate, cugnetto, noci, lupini, ma anche vere e proprie leccornie: baccalà schipieci (Baccalà con patate pomodoro e olive nere), baccalà fritto, spezzatino di maiale, carne di caprastighiuoli ( budellini attorcigliati in una “sponza” rametto di origano, sarde salate e tanto… tanto vino bianco, che continuava la fermentazione nello stomaco dei χerari.

Vino bianco in anticipo su tutti i paesi limitrofi voleva dire vendere quasi tutta la produzione e ricavare ancora denaro fresco.

Il mondo cambia Curinga cambia, ma continuare a far rivivere la tradizione delle bettole e del vino bianco nuovo, è forse uno dei modi migliori per conoscerci e riconoscerci, questo stare insieme davanti ad un piatto di fagioli e ad una caraffa di vino bianco, forse vuol significare che il nostro cuore ha bisogno ancor oggi più che mai di questa genuinità intellettuale di questo ancestrale ricordo che ci fa ancora sperare in un futuro…..

 

Cesare Natale Cesareo

 

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LA FIERA DELL’IMMACOLATA DI OTTOBRE

Di Giuseppe Calvieri

già Segretario della Confraternita dell’Immacolata

 

 Tutti ci siamo chiesti, almeno una volta nella nostra vita, perché la “Fiera dell’Immacolata” di ottobre? Qual è la sua origine, la sua storia? Quali legami ha avuto con “Le bettole”? Bisogna subito precisare che sull’argomento non esiste una “storia scritta”, ma esistono soltanto delle testimonianze e dei racconti tramandati dai nostri antenati e dai nostri nonni. Nemmeno il dr. Sebastiano Serrao durante il suo lungo Priorato (01/01/1907 = 31/12/1943) ha mai scritto niente su questo argomento. Si è limitato sempre ad annotare nei suoi puntigliosi “Conti economici e morali” (*) che presentava all’ inizio di ogni anno all’Assemblea dei Confratelli, soltanto le entrate e le spese sostenute sul capitolo di bilancio relativo alla festa di ottobre. Mio nonno mi ha raccontato ed io ricordo che… La Fiera dell’Immacolata, che si svolge la terza domenica di ottobre, secondo i vecchi storici mmaculatisti, i famosi “tonzi de lu passu” quali mastru Vito Frijia (u ziu Vitu), Pietro Frijia l’ultimo sacrestano, Tiresuzza Calvieri, Domenico Grasso (U Priuri), e tanti altri, dovrebbe coincidere con la data di fondazione della Confraternita dell’Immacolata. Infatti in nessun altro paese, né limitrofo, né in Italia in questa data si festeggia la Madonna dell’Immacolata. Sulla data di fondazione della Confraternita non si hanno neanche notizie precise. Si sa solo, come risulta dai documenti esistenti nell’archivio della Confraternita e come ha scritto il 10 maggio 1944 nella relazione presentata alla Sacra Congregazione del Concilio presso la Santa Sede il Priore dr. Bernardo Bevilacqua che, nel 1777 la Confraternita per poter continuare a vivere, dovette, come tutte le altre consorelle, chiedere il Regio Assenso al Re Ferdinando IV di Borbone: in esso si legge che la Confraternita fu eretta da “tempo immemorabile”. (*) Dalle relazioni dei Vescovi stilate durante le visite pastorali nella Confraternita, consultabili nell’archivio storico della Diocesi di Lamezia Terme, si è rilevato che nell’anno 1640 esisteva in Curinga, nel luogo ove oggi sorge la chiesa della Confraternita dell’Immacolata, un’ antica chiesetta dedicata a S. Nicola di Bari. In essa vi erano due altari: quello maggiore dedicato al Santo che dava il nome alla chiesa e l’altro alla Concezione della Beata Vergine. L’erezione di tale altare dedicato alla Vergine Immacolata risale certamente ad epoca anteriore, se nel 1640 esso era già oggetto di generale devozione.(*) Ecco come si spiegherebbe perché questa festa dedicata all’Immacolata in questo strano periodo. A conclusione del triduo in onore della Madonna fino all’anno 1968, veniva effettuata la rituale processione per le vie del paese. Dal 1969 in poi, dopo i gravi danni subiti dall’edificio della chiesa in seguito al crollo della strada provinciale avvenuto la notte del 16 dicembre 1968 e dopo l’interdizione al culto dell’edificio per i successivi otto anni, la processione non venne più effettuata. Fino agli anni settanta a lu Chianalari (Piano delle Aie, allora periferia del paese) si svolgeva anche la fiera del bestiame: con l’occasione si comprava e si vendeva di tutto: lu puarcu, li polli, gaddhini, poseddha, ciceri, olio e soprattutto vino bianco. I contadini, specialmente i “muntagnari”, aspettavano questa fiera per vendere e/o comprare a vaccareddha, lu vitieddhu, lu ciucciu. Successivamente con l’entrata in vigore di nuove leggi questa fiera è stata abolita per motivi igienici e sanitari. Quando ancora i camion, gli autocarri e le auto non esistevano o ce n’erano pochissime i commercianti arrivavano almeno una settimana prima con i carri trainati dai buoi e costruivano loro stessi i banchi di vendita. Sotto i banchi ricavavano con le tavole di legno anche i loro ricoveri per la notte. Alcuni prendevano in fitto magazzini (catoja) vicini ai luoghi di svolgimento della fiera. I “barracchi” (attuali negozi) di Piazza Immacolata, per lo svolgimento di questa fiera, venivano momentaneamente svuotate dagli artigiani che le detenevano in fitto e venivano fittate a “li vindituri”. Questo veniva già stabilito nei contratti di fitto delle baracche stesse: si fittavano da novembre a settembre di ogni anno e consentiva una cospicua entrata aggiuntiva, certa ed immediata alla Confraternita, come risulta nella contabilità annuale presentata dai Priori pro – tempore.(*) Naturalmente questi “vindituri” durante la loro permanenza dovevano mangiare. Ma dove mangiare? Non esistevano i ristoranti. Esistevano soltanto le bettole per la vendita del vino e donn’Angela a Petrisa (l’attuale bar Centone) che preparava da mangiare. Ecco, quindi, che durante questo periodo di fiera, i produttori di vino aprivano delle improvvisate “bettole” per la maggior parte ‘nto catuaju dove erano state sistemate le botti del vino. Queste bettole venivano segnalate all’esterno “cu na frasca de livara” e l’immancabile bottiglietta (de gazzosa) piena di vino bianco appesa ad un lato della porta d’ingresso. Nel prosieguo degli anni i “bettulieri” improvvisati sono sempre andati ad aumentare di anno in anno (non esistevano ancora gli obblighi di legge, la paura della Finanza e gli scontrini): chi non ricorda a Petricola, Gargirussu, mastru Natali u Carrieru, u Notturnu e “Pepponi” che preparava la trippa e patati, baccalà schipiaci e li stigghuali cu lu …. posiddhu? Nelle famiglie, invece, oltre a la trippa e patati, alivi scacciati, poseddha, baccalà e pipi de curina, veniva preparata “na cista de zippuli” da consumarsi (i restatini) anche nei giorni successivi a merenda e colazione, riscaldate a lu fhocularu mpilati a lu spitu. Il tutto veniva accompagnato con il vino bianco novello. Il vino bianco, considerato dai Curinghesi da sempre un vino “minore” veniva consumato e/o venduto subito (si vendemmiava normalmente dopo la festa della Madonna del Soccorso (08 settembre) ed aveva anche lo scopo di far ritardare mu si “percia” la botte del vino rosso per risparmiarlo e per farlo durare più a lungo. Con quanto sopra riportato e scritto non ho la presunzione di avere “scritto la storia” della festa e della fiera di ottobre. Ho voluto soltanto offrire il mio piccolo contributo per far conoscere alle nuove generazioni e riportare alla mente dei più anziani antichi ricordi, usi e tradizioni del nostro bel paese che i nostri padri ci hanno tramandato come un prezioso tesoro da custodire gelosamente.

                          Giuseppe Calvieri

      già Segretario della Confraternita dell’Immacolata

  

A cura di www.curinga-in.it

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

 

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