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RICOGNIZIONE SECONDA   Home Page

Riprendiamo i nostri itinerari e partendo dal Bivio Ponte Angitola prendiamo la strada Nazionale che porta a S. Nicola da Crissa.

In prossimità di Monte Marello ci vengono segnalati i ruderi di Rocca Angitola centro abitato distrutto dal terremoto del 1673.

Dopo il disastro una parte dei profughi riparò a Pizzo e costruì l’attuale Chiesa dei Morti dove esistono due confessionali decorati con intagli eseguiti da mano maestra. Il portale della Chiesa porta la data del 1637, altre iscrizioni illeggibili.

Non è da escludere che i ruderi di Rocca Angitola appartenessero all’insediamento di Crissa Focese, il quale scampato alla distruzione di Troia approdò sul litorale nei pressi del fiume Angitola.  

Polia :

Ci rechiamo a Polia; Ecco quanto apprendiamo da un testo di Sesto Giulio Frontino pubblicato nel 1803;

“Molte famiglie di Ausoni che quivi erano (Polia) che nelle grotte che di presente nelle case e nei privati edifici si veggono, vivevano”.

Stralciamo qualche brano su quanto di Polia ci hanno tramandato illustri scrittori:

- “L’uomo primitivo apparve in Calabria in tempi remotissimi, forse sospinto dal Nord, forse proveniente dal mare, sostò nelle foreste intatte, cercò il cibo, accese il fuoco e con tronchi di albero fece ricoveri. Lottò contro le belve, visse selvaggio in accorpamenti ed abitò anche in caverne scavate nella roccia. Lavorò la selce da cui trasse accette, cuspidi, lance, pugnali, scalpelli e quanto poteva occorrergli per i vari usi. Una tribù sul luogo dove poi sorse l’antica Polia e quindi al villaggio Trecroci abitando in numerose grotte che ancora vediamo alle pareti delle colline rocciose.

L’entrata delle grotte rileva all’occhio dell’esperto l’origine troglodita”.

Se si avesse la possibilità di esplorare il sottosuolo di queste spelonche avremmo le prove tangibili dei manufatti litici, poichè fortuitamente molti ne sono già affiorati.

Verso i primi del 1900 venne trovata a Trecroci durante lo scavo di edificazione di una casa, una tomba costituita da lastroni rettangolari di arenario. Si rinvennero pure due lame, una fibula di bronzo, una cuspide di ferro, una scodella di terra cotta  a due anze ed una ceramica zooforme. Ciò fa pensare che gli uomini preistorici ebbero il culto dei morti e credettero in attività dello spirito oltre la tomba.

Varie sono le asserzioni e le contraddizioni di illustri storiografi sulla vita greca di Polia, ma ciononostante non è da escludere la grecizzazione di questa importante zona.

Nel 1545 contava 94 fuochi, mentre pochi anni prima era di 147; nel 1552 si riduceva a soli 99. Ciò in conseguenza delle epidemie, dello stato di completo abbandono e della difficile accessibilità; alcune erano state adibite a porcile. Qualcuna conserva le caratteristiche degli ipogei Etruschi con parvenza di focolare a destra e a sinistra dell’ingresso. Non esiste presso i presunti focolari un incavo per la conduzione del fumo alla canna fumaria inesistente in queste grotte, mentre è bene evidente nelle grotte del Viterbese.

Agli ingressi delle grotte di Polia semidistrutte, non vi è traccia di gocciolatoi o di scoline per le acque piovane; alle pareti si notano fori ciechi ed in qualcuna vi è un foro a circa 50 centimetri dal suolo, del diametro di cm. 6. che attraversa la parete stessa fino all’esterno. Probabilmente aveva funzione di spioncino.

In una di esse vi è un gradino attorno alle pareti alto cm. 40 che sembra un sedile; nel centro del suolo vi è un incavo circolare del diametro di cm. 70 circa non molto profondo. Poteva servire per istallarvi la molenda oppure di base per una ipotetica Ara?

In qualche grotta esiste un incavo rettangolare, specie di riservetta, dalle dimensioni 80 + 30 + 40; non sembra però adatta per inumare un cadaverino, come spesso avveniva nelle grotte etrusche.

Alle pareti ed alla volta sono evidenti i colpi a striscio dell’utensile adoperato per lo scavo.

Ecco quanto dice P. G. Fiore - Tomo I Calabria Illustrata: “Crissa focese fuochi 202 - Polia, Monterosso e Montesanti - Polia fuochi 280 - Montesanti fuochi 10 - e Monterosso fuochi 108. Tutti formano una Baria con a capo Castelmonardo.  

Castelmonardo:

Ci rechiamo a Castelmonardo per sentieri inaccessibili salvo qualche tratto di antica mulattiera. Non troviamo che ruderi; vestigia di abitato Feudale distrutto dal terremoto del 5/6 novembre 1659 con 193 morti. Sulla sua fondazione le notizie sono varie; una dice: Sorse nel 900 a. C. per opera dei superstiti di Crissa. Un’altra la vuole edificata in montagna verso l’ottavo secolo durante le invasioni barbariche al riparo dalle piraterie; sarebbe stata riedificata dagli stessi abitanti in località Piano delle Gorne con il nome di Filadelfia.

In Castelmonardo esistevano i Sedili Pubblici dipinti da Mattia Preti. Ivi nacque Giovanni Antonio Vallone.

Fu posseduta dai Ruffo di Catanzaro nell’anno 1290; nel 1469 Re Ferdinando la diede a Don Antonio Trezza, quindi passo a Don Ettore Pignatelli Duca di Monteleone.

 

Filadelfia:

Filadelfia sorse dopo il terremoto del 1659 per opera dei profughi terremotati di Castelmonardo.

Bella cittadina con lunga e spaziosa strada centrale ed ampie piazze alberate, dove può ammirarsi qualche monumento.

Trovasi a poca distanza dal mare, da dove si gode un paesaggio incantevole sia montano che vallivo. Il nostro sguardo si ferma con insistenza verso il Golfo di S. Eufemia, mentre all’orizzonte si presenta lo spettacolo delle Eolie con lo Stromboli che a volte è fumante e durante i tramonti infuocati, è meravigliosamente suggestivo.

In un secondo piano a sinistra, in tinte degradanti si adagiano in visione scenografica fantastica, i colli del Vibonese che a stento ci fanno scorgere la cima dell’Etna sempre bianca.

Visitiamo la chiesa del Carmine, dove si conserva una statua in marmo del Gaggini, Scuola di Cosimo Fanzago 1630/35, raffigurante la Madonna del Purgatorio. Abbiamo anche ammirato due statue in gesso di ottima espressione di autore ignoto, forse della medesima epoca, raffiguranti due Evangelisti; sono cimeli d’arte trasferiti da Castelmonardo.

 

Francavilla Angitola:

Da Filadelfia, seguendo la strada provinciale arriviamo a Calavrici (Biancospino), territorio di Francavilla; notizie storiche segnalano l’esistenza di  un convento Basiliano assistito dal Religioso Costantino nel 1310.

Poche sono le notizie che siamo in grado di dare intorno a Francavilla. Ci risulta che è un paese di antichissima fondazione e che ha avuto rapporti e scambi con Polia. È un centro che attualmente conta oltre tremila abitanti dediti per lo più all’agricoltura.

È patria di un uomo illustre: Onofrio Simonetti nato il 22 marzo 1794, egli fu filosofo, medico, geologo profondo, poeta e fervente patriota. Fu anche socio di molte accademie italiane ed estere, nonché Segretario perpetuo dell’Accademia Florimentana Vibonese.

L’antico paese iniziava dalla zona “Pendium” e si estendeva fino all’attuale palazzo Mannacio Soderini, il quale in origine era un convento.

Risulta che il nucleo originario “Pendini” sia stato formato da profughi terremotati, forse di Castelmonardo. Altra notizia informa che il nucleo di cui si è parlato si è staccato da Polia in epoca imprecisata ed ha portato a Francavilla usi, costumi, idioma di origine greca. Molti di questi vocaboli si sentono ancora sulla bocca degli attuali abitanti,.

È importante sapere che nella parte valliva (Pendium, cioè parte bassa) esistono ancora numerose grotte, oggi murate, scavate nella roccia calcare; somigliano alle grotte di Polia.

Notizie non bene controllate ci dicono che da queste grotte partivano dei camminamenti verso Castelmonardo.

 

Montesoro:

Da Francavilla ci rechiamo a Montesoro, frazione di Filadelfia: giace in posizione amena dominante la Piana di S. Eufemia ed il suo Golfo, mentre a Nord è ben visibile la Presila. È abitata da circa 600 persone, gente buona, laboriosa e paziente che trascina per la maggior parte una vita grama ubbidiente al Parroco. Molti emigrano in Svizzera e nel nord d’Italia per migliorare le condizioni economiche.

Il Barrio chiamò questo centro Piccolo Castello di fuochi 106. Fu sotto il dominio di Don Goffredo Marzano Conte di Alife e poi comprato dai Caracciolo, conti di Nicastro.

In seguito passò alla famiglia Pignatelli (Don Nicola) Duca di Monteleone.

Aveva nel 1535 quattordici famiglie, nel 1669 ne aveva trentacinque e nel 1662 centotrenta abitanti.

Nel 1565 su invito di Monsignor Facchinetti fu fondato da conventuali un convento con vocabolo S. Nicola. Fra i cappuccini si distinsero il P. Silvestro di Feroleto, Provinciale nel 1550, il Venerabile Girolamo di Montesoro insigne personalità, morto nel 1561 e soprattutto Benedetto Cesareo e Antonio di Scigliano morto nel 1635.

Siamo nel 1966 e resistono ancor alcuni resti delle mura di cinta.

Fino a molti anni fa esisteva una porta di entrata sormontata da un arco alla cui sommità eravi un idolo che fu portato a Monsignor Regine Vescovo di Nicastro.

Non si hanno notizie sulla data della sua fondazione; si vuole che i Laconesi andassero a villeggiare.

A valle dell’abitato scaturisce ancora una sorgente di acqua alcalina diuretica in contrada “Strufulia”. Questo nome rafforza in noi la convinzione delle origini Magno Greche di Montesoro: Strufulia infatti è toponimo greco; con questa precisa denominazione sono designate località dell’Eubea e del Peloponnesso. Il significato italiano di tale parola greca è pigna e, per estensione, pineta.

Continuiamo il nostro cammino verso Curinga Centro, percorrendo in discesa la strada provinciale che con i suoi tornanti ci porta alla Casa Cantoniera sulla statale 18. Dopo aver attraversato il ponte sul Turrina, ci avviamo verso il paese che dista dal fiume cinque chilometri.

 

S. Pietro a Maida:

Oltrepassata la contrada Samboni ci avviciniamo a S. Pietro a Maida. È questo un grosso centro rurale molto progredito in questi ultimi anni e conta 4,600 abitanti;  popolo laborioso, dedito in particolar modo alla cultura degli uliveti; infatti esistono nell’abitato molti oleifici moderni ben attrezzati con frantoi e super presse per la produzione di ottimi oli.

Nella piazzetta principale sorge un’ampia Chiesa Parrocchiale dedicata al Protettore S. Nicola con il titolo di Abbazia e dispone di una buona rendita derivante da proprietà ulivetata.

A cura del Podestà dell’epoca, Dottor Antonio Catalano, medico, è stata riattata dai fratelli Astorino, bravi artigiani del luogo, molto intelligenti che hanno trattato le decorazioni architettoniche in alto e basso rilievo con molta perizia.

Riassumiamo in sintesi alcune notizie:

S. Pietro, ai tempi dell’Abate Gioacchino Da Fiore, (1120) era Feudo di Roberto di Benede, cittadino di Maida; aveva 700 fedeli nel 1662.

In zona S. Venera Basiliana, oggi proprietà del Signor Marco Davoli sono ancora in evidenza alcuni resti di ruderi che appartennero al Monastero di questo Ordine.

A S. Pietro è nato Marcantonio Fabiani, Vicario del Laterano, Canonico Tesoriere della Cattedrale di Nicastro, uomo colto sia nel Diritto che sulla Poesia, sulla musica e sulla comica. Ivi è nato Ottavio Piacente, altro canonico di detta cattedrale, che fu poeta e moralista celebre.

S. Pietro dette i natali ancora a Fulgenzio Marinaro, maestro di Teologia che nel 1728 fu Provinciale fra gli Agostiniani.

Nacque pure a S. Pietro Giacinto Misano dell’Ordine di S. Domenico eccellente predicatore, morto a Reggio nel 1744, quando aveva scritto e pubblicato “L’arte di ben confessarsi” ed “Il diritto Cristiano e politico”. Ebbe i natali anche a S. Pietro, Elia dell’Abito Carmelitano, oratore esimio.

Nacque pure Tommaso Fabiani Vescovo di Belcastro nel 1755.

A monte dell’abitato, in località “Corda” in cima alla collina, esistono i ruderi di un antico convento, forse Basiliano, denominato S. Maria, di cui la vecchia Chiesa, riattata per il passato, è servita come Cappella Comunale del Cimitero abbandonato da parecchi anni perché trasferito in Località Impiano sulla strada provinciale che porta a Maida.

 

Maida:

Siamo a Maida alla porta del paese, passiamo sotto l’arco detto di S. Antonio, che sorregge una conduttura di acqua proveniente da Vallini e che serve per irrigare i terreni sottostanti al paese e che per il passato alimentata i mulini da cereali.

Arriviamo in Piazza Castello, guardiamo con interesse i resti di un maniero di evidente costruzione Normanna. È in gran parte distrutto, non resta che la parte orientale dominante la vallata. Ora è adibito a carcere mandamentale.

Il terremoto del 27 Marzo 1638 alle ore 20 demolì buona parte di questo castello. In seguito venne restaurato, e vi è chi attribuisce il restauro ad un condottiero africano che chiamò Magida il paese; dal nome della sua patria.

Il castello con le sue terre di Maida e Laccinia, è passato alla famiglia Liceto e quindi devoluto alla Corona Reggia è stato da Re Roberto concesso alla Regina Sancia, la quale lo donò a Goffredo di Marzano (16 settembre 1331). Era Sancia figlia naturale di Re Alfonso II che venne sposa a Raffaele Borgia.

Sulle origini della città non abbiamo fonti degne di credito. Notizie varie e contraddittorie ci danno vari scrittori, alcuni illustri, fra i quali: Marafioti, Gian Lorenzo Anania, Barrio, Stefano Bizantino, Strabone, Vossio ed altri. Con le loro contraddizioni creano una ridda di ipotesi che non approdano ad un risultato concreto.

Il Signor Francesco Saverio Romeo, nato a Maida nel 1771 e morto all’età di 80 anni nel Marzo del 1851, asseriva nei suoi scritti che in territorio di Maida (ma non dice in quale  località) sono spesso affiorate monete Sicule e Locresi e dopo una frana di un piccolo colle si scoprirono molte monete appartenenti alle città Siciliane ed al Tempio di Proserpina Locrese.

Asseriva inoltre, ma non consociamo la fonte, che attaccata alla porta orientale di Maida esisteva una Tempio di costruzione romana, dedicato a Castore e Polluce, che si vuole distrutto da Costantino per convertirlo in Chiesa Cristiana. Gli avanzi (sempre secondo il Romeo) e propriamente le nicchie ove erano collocate i Dioscuri furono rase al suolo dal terremoto del 1783.

 

Chiese di Maida:

Dal Reverendo Arciprete Don Pascuzzi abbiamo avuti esaurienti notizie gentilmente forniteci sulle Chiese di Maida:

La matrice S. Maria Cattolica è di origine bizantina ma non se ne conosce l’anno di fondazione. Distrutta dal terremoto del 1638, venne ricostruita a tre navate. Tempio degno di una grande città, di architettura greca, ordine composto e puro. Esistono due superbi confessionali provenienti dalla Chiesa di S. Francesco di Paola esistente nella stessa città.

La tradizione vuole siano opera di un religioso di Serra S. Bruno. È da ammirare l’attuale Coro della stessa provenienza, opera artistica degna di rilievo.

Anche la campana della Chiesa di S. Francesco venne trasferita alla Matrice, ma si ruppe nel 1795; dove si leggeva la seguente iscrizione

A.D. 1532 per fili dei vivi miserere nobis jesum dei mayda ordinis S. Francisci ioa batista caracioli et fili ejus comitisalvu sp. sit cuejus famiglia de AP M. Federicius Musar fecit P. F. Anna pli caritas.

 

Alle pareti della chiesa esistono tracce di due affreschi del Grande Andrea Cefaly, fondatore della Scuola Cortalese dell’800, rovinati dall’umidità. È un vero peccato vedere in quelle condizioni due autentiche opere d’arte dell’Illustre Pittore.

Nei codici vaticani si legge che nel 1310 il Protopapa (autorità Bizantina ecclesiastica di Maida) era Domenico che aveva autorità sui Casali di Maida. Nel 1550 la chiesa di S. Maria cattolica ebbe il titolo e la funzione di Chiesa Collegiata (rito latino).

La chiesa di S. Nicola dei Latini era Chiesa del Castello Normanno, Quella di S. Sebastiano sottostante al Chiesa Matrice, presenta la medesima struttura architettonica del Castello.

Detta Chiesa è anche antichissima.

 

La Chiesa di S. Francesco di Paola

Nel 1469, su invito di una Deputazione Maidese recanatesi presso la grotta dove si era ritirato il Fraticello di Paola, si recò in Maida si P. Francesco Maiorano, compagno che più amava S. Francesco ed il giorno 7 agosto 1469 vi fondò il Convento dei Paulani di cui oggi si vedono solo le vestigia.

Anche nel XV sec. fu costruita la Chiesa di S. Francesco d’Assisi, ora Caserma dei carabinieri.

Vi fu in Maida anche la chiesa di S. Pietro ed in un secondo momento la Chiesa del Convento dei padri Cappuccini e quella del  Convento dei Domenicano.

Alla fine dell’XI sec. a Maida esisteva un Monastero femminile Basiliano; è da ritenere che nel XII sec. potevano trovarsi in Maida Padri Basiliani.

Per personale conoscenze possiamo affermare che nel territorio di Maida e propriamente in località Casella, nei pressi del villaggio S. Pietro lametino, si trovano in grande quantità schegge di ossidiana che affiorano durante i lavori agricoli; trattasi di quella specie ritenuta esistente solo nelle Isole Eolie, d’onde il nome di “Liparite”.

 

Vena di Maida:

Ci rechiamo a Vena, importante frazione di Maida. Sorge su un altipiano della valle d’Amato, a cavaliere di una collina in gran parte sabbiosa. È abitata da oriundi albanesi, ivi stabilitisi in seguito alle persecuzioni turche. Questi abitanti conservano usi, costumi e dialetto della loro terra di origine, come le altre colonie albanesi di Calabria e di Sicilia.

Su questi altipiani si sono rinvenuti (dice lo scrittore maidese Francesco Saverio Romeo) in tempi lontani, scalpelli, asce e qualche martello di pietra; sono indizi di insediamenti in queste contrade di gente in età preistorica.

Il chiarissimo Professor Lovisato, in una sua opera edita a Trieste nel 1878, asserisce che nella valle dell’Amato ed a Nicastro si sono rinvenute armi di rocce esotiche sconosciute nelle nostre contrade e neppure note in altre parti d’Italia e d’Europa. Ciò dimostra, asserisce lo scienziato, una remota emigrazione di popoli d’oltre mare.

Durante la nostra visita abbiamo prelevato alcuni pezzi fittili di fattura somigliante alla romana; forse appartenenti a tombe; tale ipotesi è avvalorata dal fatto che in passato sono stati trovati dagli abitanti locali ossa umane.

Qualche pezzo i stalattite e varie conchiglie li abbiamo staccati da una grotta ivi esistente a valle.

 

Cortale:

Cortale è stata terra feconda ed è patria di personalità illustri, fra le quali primeggia quella del pittore ottocentista Andrea Cefaly di Domenico, di fama internazionale per le sue opere e per la scuola cortalese da lui fondata che ebbe molti discepoli.

Studiò a Napoli dove ebbe per compagni i più grandi pittori del tempo. Morì a Cortale lasciando molte importantissime opere, fra le quali le scene del Quo Vadis incomplete. La sua immensa galleria di quadri fu dal nipote Andrea, bravissimo pittore contemporaneo, regalata alla Provincia di Catanzaro per arricchire quel Museo.

Alle sue eccelse doti artistiche, Andrea Cefaly unì quelle di poeta e di patriota durante l’Unità d’Italia.

Cortale ebbe Francesco Foderaro fu Domenico, professore di anatomia all’Università di Napoli e medico della corte regnante di Borbone.

Domenico Cefaly celebre missionario in India

Francescantonio Pandolfo latinista e grecista.

Antonio Cefaly teologo che scrisse molto sull’India.

Francescantonio Venuti, giureconsulto.

Perfetto Venuti, matematico e astronomo.

Fra i contemporanei non possiamo omettere Andrea Cefaly fu Raimondo che oltre a seguire la scuola del suo Illustre Avo Andrea, studiò pittura a Torino, dove fu anche allievo di Casorati. Si adeguò alle nuove correnti artistiche, dimostrando versatilità non comuni creando una tecnica tutta propria con una tavolozza morbida e tonalità evanescenti.

Lavorò e lavora con tenacia nel suo studio di Cortale che possiamo definire il suo Cenacolo. Le sue opere hanno ottenuto lusinghieri successi nelle varie mostre personali, tanto da meritare il plauso di illustri studiosi ed artisti.

La personalità che primeggia in Calabria e fuori, in questo momento travagliato della nostra Patria, è, fuori discussione, quella di Salvatore Fodera; non possiamo fare a meno di segnalare alcuni punti salienti del suo curriculum vitae. L’Onorevole Avvocato Professore Salvatore Foderaro è nato a Cortale il 28 febbraio 1908. Conseguì giovanissimo le libere docenze in diritto costituzionale ed in istituzione di Diritto Pubblico.

A 32 anni venne nominato Consigliere di Appello alla Magistratura.

Passò ai ruoli della Pubblica Istruzione, vincendo il concorso di Professore Titolare nelle Università. Ordinario di Diritto Pubblico all’Università di Roma, è stato Preside della Facoltà di Scienze Politiche Economiche e Commerciali della Università di Perugia.

Da ufficiale dell’esercito venne decorato al valore Militare.

Per cinque legislature consecutive fu Deputato alla Camera con un numero di oltre 80.000 voti. Fu anche Sottosegretario di Stato, nonchè delegato alla Conferenza Parlamentare del Movimento Europeo.

Si è sempre prodigato in tutto ciò che poteva giovare alla Patria sia all’interno che all’Esterno.

La sua attività di presidente dell’Istituto Italiano per l’Africa fu instancabile per i più urgenti rapporti col Senegal, Giunea, Sierra Leone e Costa d’Avorio. La sua missione culturale lo portò in Egitto e nel Libano, con cicli di conferenze al Cairo, Alessandria ed a Beirut.

Il Presidente della Liberia lo insignì del Gran Cordone dell’Umano Ordine della “Redenzione africana”.

Su “Motu Proprio” del Presidente della Repubblica Argentina, è stato insignito delle Massime Onoroficenze di quello stato.

Giornalista, direttore e collaboratore di molte Riviste, è autore di molte opere giuridiche, politiche, sociali, economiche.

Assertore instancabile dei diritti della nostra Calabria, si battè per l’istituzione dell’Università nella nostra Regione.

 

Appendice

Da ulteriori ricerche ci risulta che da ritrovamenti archeologici effettuati nella zona dove sorge l’attuale Cortale sembra certo che vi sono stati insediamenti umani durante il neolitico: sono venuti alla luce infatti armi ed utensili di pietra levigata.

Notizie storiche consentono di stabilire che il primo nucleo abitato, in epoca a noi più vicina, è stato fondato dagli abitanti di Acconia rifugiatisi nell’interno per l’infuriare delle scorrerie saracene che distrussero la loro città.

Esistono gli avanzi di un Monastero Basiliano distrutto dal sisma del 1873.

La mancanza di attendibili fonti storiche ed archeologiche, non ci ha permesso di fare di più; perciò chiediamo scusa ai gentili lettori.


Curinga:

Attualmente la popolazione del Comune di aggira intorno ai settemila abitanti i quali sono dediti prevalentemente ad attività agricole anche se non mancano buoni artigiani; in passato fiorivano nel centro urbano notevoli attività artigianali quali la tessitura del lino e della seta, la confezione, sempre con telai a mano, di coperte di lana, di bisacce di tela di lino grezzo, interessantissime per gli arabeschi costituiti da ornamenti minuziosi e stilizzati con motivi prevalentemente geometrici e vegetali che richiamano forse all’arte islamica.

La gente del luogo è molto laboriosa e di fondo buono, in questi ultimi anni vi è stato un notevole progresso materiale e morale: si va formando una classe di intellettuali con molti laureati e vi è una frequentatissima scuola media; lo sviluppo edilizio che si accompagna ad un certo benessere diffuso è cospicuo quanto disordinato.

Circa le origini non si hanno notizie molto dettagliate: si hanno buoni motivi storici per affermare che Curinga, al pari di molti altri centri dell’entroterra tirrenico calabrese, è stata fondata, dopo il 900 dagli abitanti delle zone costiere costrette dall’imperversare dei saraceni ad abbandonare la pianura ed a rifugiarsi in luoghi più sicuri dell’entroterra; Curinga quindi fu certamente fondata dai profughi di Acconia. L’etimo è incerto: Korion?

Sappiamo con certezza che nel 1310 era Comunità obbligata a dare al Reame i contributi. Certamente nel 1600 l’agglomerato urbano doveva aver raggiunto dimensioni notevoli.

 

CHIESE

Duomo

Alcuni studiosi sostengono che la dedica del tempio al Principe degli Apostoli, non è che una pura conseguenza del fatto che i lacconesi profughi hanno rinnovato il titolo di una loro chiesa esistente in Acconia abbandonata.

Il suolo su cui sorge la “Matrice” è stato regalato dalla famiglia Pompò, ormai estinta.

La pietra e la sabbia sono state portate dal fiume Turrina con un sistema molto pratico: centinaia di persone si sono disposti “a catena” lungo il tratto che dal fiume va fino all’erigenda chiesa e col “passamano” hanno provveduto alla bisogna.

Certamente lo spirito religioso che animava la comunità doveva essere veramente notevole se oltre alla chiesa chiamata con una certa pretensiosità “madre” esistevano nel solo centro urbano numerosi altri tempi, quali quelli del Carmine, Immacolata (S. Nicola) di S. Giuseppe, dell’Addolorata, di S. Francesco, del Soccorso ed altri sul territorio.

Dall’archivio parrocchiale risulta: «fu eretto nel 1600» e nel 1769 esisteva la chiesa parrocchiale di S. Andrea. Dopo il terremoto del 1783 fu ricostruito.

Nel 1672 fu parroco Romeo e poi Ciliberti, Dardi, Mazzotta. Nel 1677 nel paese vi erano una ventina di sacerdoti e fra questi Orlando, Dedato, Calvieri, Vasta, Fusco, Bianca. Nello scorcio del 1899 fu parroco Perugino Pietro Giovanni da Curinga e dopo il 1900 Caruso Vincenzo nativo di Conflenti.

A questi successe l’attuale Don Antonio Bonello nativo da S. Pietro a Maida il quale trovò il Duomo in stato di completo abbandono. Si è quindi dedicato con intelligenza ed abnegazione per renderlo veramente degno del culto. Infatti, mercè la sua opera instancabile, il tempio è risorto a nuova vita.

Vale la pena di ricordare i lavori rilevanti eseguiti:

1) ricostruzione totale del tetto;

2) rifacimento intero della facciata;

3) rifacimento dell’intonaco interno;

4) costruzione di numerosi ed ampi locali attigui per asilo infantile, casa canonica e adunanze;

5) opere d’arte varie, tra cui le seguenti: ricchi ed artistici altari in marmi pregiati con analoghe antistanti balaustre.

Pergamo, battistero e pila per l’acqua santa in marmi policromi. Tutte le opere marmoree sono istoriate con eccellenti sculture di stile classico. Nella navata sinistra vi è un quadro ad olio raffigurante S. Antonio di Padova circondato da gigli, opera ben curata dai colori dolci di vera ispirazione mistica; è opera del pittore professore Giorgio Pinna da Nicastro.

L’interessamento del parroco è costante e continuo. Ci permettiamo di esporre qualche punto di vista del tutto personale per quanto riguarda la riparazione della facciata: in origine essa presentava i quattro ordini di architettura classica secondo la scuola di Giacomo Barozzi, detto il Vignola, gloria dell’architettura nazionale. Infatti su basi di pietra da taglio poggiava il primo ordine «Dorico» al quale era sovrapposto il «Corintio», ed il composito: il Jonico il tutto sormontato da timpano con relativo cornicione.

 

Santuario della Madonna del Carmine

Sopra un poggio dominante quasi tutta la piana di Curinga troneggia il Santuario del Carmine col suo alto campanile che richiama all’architettura normanna con luci ad arco acuto. Chi si ferma sulla terrazza antistante e volge lo sguardo all’incantevole panorama con la distesa pianura ed il litorale del golfo (già Sinus Ipponiate) mentre l’aura salmastra del mare spumeggiante si unisce al profumo del polline d’oro nel verde argenteo degli uliveti in fiore, rimane estasiato; vi è un gioco di luci sotto un sole raggiante che inonda monti e valli ed indora il piccolo villaggio «Montesoro» appollaiato su di una collina che fa di secondo piano al paesaggio e pare spinga in là i colli del Vibonese. Visione solenne, grandiosa, che da millenni è viva e non si spegne in terra di Calabria. Il cielo è terso e di quando in quando vaganti nuvolette si prestano ad effetti scenografici mentre sullo sfondo si delinea lo Stromboli in linea con il gruppo delle Eolie. È visione o musica vivente? In questo poggio nel 1705 i Padri Carmelitani del Convento di S. Elia, fondarono la confraternita del Carmine su concessione del Padre Generale dell’Ordine Carmelitano e col beneplacido del Vescovo di Nicastro Monsignor Nicola Cirillo che approvò la fondazione il 26 agosto dello stesso anno mentre la Chiesa era annessa al Convento di S. Elia. Tanto risultò dall’Archivio Curiale di Nicastro. Dall’archivio della Parrocchia risulta la costruzione nel 1629. Prima fu edificato il Convento e poi la Chiesa.

Trascriviamo quanto Padre Domenico di Badolato ci tramanda nel suo libro a pag 366: «Il Carmine apparteneva al Monastero di S. Elia della Provincia di Sicilia, fondato dai Carmelitani del Primo istituto nel 1472 e nel 1724 annesso alla provincia di Calabria per decreto di papa Benedetto XIII. Questo sorse prima nella montagna S. Elia, tra Curinga e S. Pietro, ove si scorgono dei preziosi avanzi e trasferito poi a Curinga esistette fino al 1809».

Siamo nel 1964 e vediamo l’interno di questo Santuario di architettura corintia, decorato a stucco lucido e doratura a foglia, opera dell’architetto e pittore Agostino Guzzi da Miglierina. Vi figurano due affreschi di detto artista ed un quadro ad olio del pittore vibonese prof. Natale Cesareo fu Giuseppe della scuola napoletana dell’800.

Il quadro rappresenta la purificazione con S. Simone Stocco che presenta alla Madonna il Bambino Gesù. È stato offerto dall’artista per voto dopo che un fulmine caduto sul campanile è arrivato al punto dove attualmente è situato il quadro senza arrecare notevoli danni ai fedeli che assistevano alle funzioni religiose.

Le ceneri del Cesareo riposano nel Cimitero di Napoli nella Cappella riservata agli artisti di valore. Dopo il terremoto del 1908, in occasione di una visita effettuata in seguito al movimento tellurico, vi officiò in detto Santuario il Cardinale Portanova. La Chiesa del Carmine è stata elevata a Santuario nel 1952.

Nel sottosuolo della Chiesa, costruita nel 1629, esiste un sepolcreto di non discusso valore storico, dove venivano deposti i cadaveri dei Religiosi del Convento, ivi esistente.

Questo sepolcreto è composto da tre camere circolari a volta, scavate in arenario molto compatto. Alle pareti sono addossati dei sedili (ricavati anche nell’arenario) con ganci alle spalle di chi sedeva. Nel centro del pavimento di ogni camera vi è un pozzetto di raccolta. I cadaveri venivano disposti seduti e agganciati alle spalle ed il pozzetto riceveva i resti del cadavere in disfacimento. (Vedi disegno in appendice).

N. B. Questo argomento è trattato nei suoi particolari in un nostro articolo pubblicato su “Calabria Letteraria” la rivista di letteratura che esce a Longobardi di Cosenza, diretta dal valoroso Emilio Frangella.

 

Peristilio Romanico:

Attaccato al Santuario della chiesa del Carmine esiste un peristilio a tre archi a tutto sesto, poggianti su fusti, il tutto è in pietra da taglio e basamento analogo con modanature Doriche. Evidentemente architettura Greco Romana. Tale materiale con tutta probabilità provenire da Sant’Elia Vecchio, costruzione preesistente.

 

Chiesa di S. Giuseppe:

La Chiesa di S. Giuseppe, giusta notizie attinte nell’archivio Parrocchiale, esisteva nel 1769 e fu fondata dal medico Don Michele Coletta. Nel 1958 per interessamento del Parroco: Don Antonio Bonello è stata riattata mentre era in uno stato di abbandono. Si officia una volta all’anno in occasione della piccola festa rionale, il 19 marzo.

 

Confraternita dell’Immacolata:

Pochissime sono le notizie che possiamo dare su questa Confraternita poiché la stessa non possiede un archivio. L’attuale chiesa è sorta sulle mura della vecchia chiesa di S. Nicola, la quale era in funzione nel 1769. Probabilmente questa di S. Nicola era stata costruita in seguito alla distruzione dell’Abbazia di S. Nicola di Lacconia provocata dal terremoto del 1638. In quell’occasione vi fu l’esodo dei laconesi verso le colline.

L’attuale costruzione è di architettura greca, ordine Corintio, della Scuola del Vignola. È interamente decorata a stucco lucido e doratura a foglia con artistici capitelli e modanature nonché con effigie di santi in alto rilievo di tocco artistico, opera dell’architetto Agostino Guzzi da Miglierina. La facciata che per lunghi anni era rimasta senza intonaco, pur conservando la trabeazione Corintia, è stata rifatta sull’ordine e decorata con mani maestra dal giovane architetto Sig. Giannini da Vivo Valentia. Sul portale centrale vi è un quadro in alto rilievo raffigurante l’annunciazione, mentre al culmine del timpano si erge maestosa la statua della Madonna.

I due campanili laterali rendono maggiormente imponente l’insieme della facciata, sebbene conservino forma cuspidale e monofori ad arco acuto con evidente carattere gotico che contrasta, all’occhio dell’intenditore, con il resto della facciata di stile greco.

L’otto dicembre di ogni anno si celebra una bellissima festa religiosa, mentre la terza Domenica di ottobre ha luogo una importante fiera di suini e bovini nonché un mercato di merci varie e manufatti con moltissima affluenza di forestieri.

 

Chiesa dell’Addolorata:

Da notizie non bene accertate pare sia stata costruita nel 1850. Nel 1958 è stata riattata come quella di S. Giuseppe per interessamento del parroco Don Antonio Bonello, poiché aveva subito un lungo periodo di abbandono.

Non si officia mai.

 

Chiesa del Soccorso:

A circa un chilometro dal paese sulla strada provinciale che arriva al Ponte Torrina esiste una piccola chiesa di campagna intitolata alla Madonna del Soccorso. Tutti gli anni il giorno otto settembre si celebra la messa in occasione di una festicciola fatta con offerta dal popolo e per ricordo del terremoto del 1905.

 

Chiesa di S. Francesco:

Risulta dall’archivio parrocchiale che esisteva nel 1769. Non risulta in quale epoca è stata distrutta. Forse la scomparsa è dovuta al terremoto del 1783.

Sui ruderi, nel 1958 l’amministrazione comunale ha fatto costruire un mercato coperto per la vendita di frutta e verdura, ma dopo pochi anni i rivenditori l’hanno abbandonata ed ora  vi è saltuariamente il mercato del pesce. Sulla facciata la stessa amministrazione ha posto una nicchia dedicata a San Francesco.

 

Chiesa La Grazia:

Ai piedi del Bosco Rizzello in zona S. Maria esiste la chiesa denominata «La Grazia». Questa faceva parte di un antico Cenobio denominato di S. Maria delle calcare, da alcune fornaci esistenti in quei pressi per la produzione della calce.

Il Fiore in «Calabria Santa» parlando della comunità religiosa del Cenobio dice: «Professava la regola di S. Agostino; rimane disciolta nel 1653. La duchessa Ippolita Ruffo moglie di Nicola Ruffo ricostruì la chiesa delle Grazie l’anno del terremoto 1783».

Nel 1945 a spese del Sig. Francesco Borello nativo di Filandari (Catanzaro), fittuario dell’uliveto Campolongo di proprietà del Principe Rufo Ruffo della Scaletta, detta chiesa è stata riparata dai gravi danni che presentava a causa dell’abbandono in cui si trovava.

Trascriviamo una notizia pervenutaci dalla Sopraintendenza ai monumenti della Calabria, da Cosenza: «In quanto alla Chiesa delle Grazie, pare che la costruzione esistesse anteriormente al 1664 come risulta da un documento presso la Curia Vescovile di Nicastro in data 17.2.1770. Un convento di Agostiniani soppresso da Innocenzo X».

P. F. Russo «La diocesi di Nicastro» a pag. 162 scrive: «Papa Innocenzo X con la costituzione Instaurandae disciplinae regolaris del 15 ottobre 1652 con la quale sopprimeva le case religiose non formate cioè con meno di sei membri ... Nella diocesi di Nicastro furono chiuse una quindicina di case religiose e fra queste quella degli Agostiniani di Curinga». Gioacchino Murat firmò il Decreto del 1809 che soppresse le corporazioni religiose incamerandone i beni. In seguito a questa disposizione i pochi conventi superstiti riaperti durante la Restaurazione, furono nuovamente soppressi in tutta la Calabria e fra questi S. Maria delle grazie di Curinga degli Agostiniani.

Siamo nel 1964 ed attigua alla chiesa esiste solo un piccolo vano abitato fino a pochi anni fa da un eremita che curava la pulizia e la lampada alla Madonna, ma non affiorano vestigia di ruderi che possano giustificare l’esistenza di un convento.

Nell’interno si notano resti di tombe, dove si suppone siano stati sepolti i patrioti caduti nella battaglia detta delle Grazie durante gli scontri fra Nazionali e Regi avvenuto il 27 giugno 1860 fra i due ponti Torrina e La Grazia sulla strada Nazionale.

Il giorno due luglio di ogni anno in detta chiesa si officia poiché si fa una festicciola con affluenza di molta gente dal paese e dalle campagne circostanti. Fino a pochissimi anni fa si faceva una piccola fiera con mercato di articoli diversi, ma oramai anche questa è in decadenza.

 

Il Convento Basiliano (S. Elia Vecchio):

In zona Castellano - Corda  esistono i ruderi del Convento Basiliano detto S. Elia Vecchio, di cui una parte ancora in piedi è costituita dai resti della Chiesa della quale si conserva l’Abside quadrata in base e rotonda in elevazione, con cupola Bizantina; contigua all’abside verso Sud vi sono a piano terra fondazioni in muratura per un vano lungo m. 12 + 5 sui quali posavano le pareti della Chiesa originaria. (Vedi foto in appendice).

Seguono ancora ruderi che indicano locali necessari alla vita dei frati e ambienti per la raccolta delle  derrate prodotte dalla attività agricola dei frati stesi. Tutta la costruzione è stata fatta con pietre di cava e malta ordinaria senza alcun mattone e gli archi a tutto sesto sono stati costruiti con pietre piatte.

Nell’interno dell’abside, alla base della cupola, esiste un fregio a carattere curvilineo con sottostante cornice a gola diretta.

Non si notano altre decorazioni o pitture, certamente scomparse attraverso il tempo. Sono i ruderi del Convento che dovette costituire per secoli l’unico faro di luce, di civiltà e di cultura in questa vasta zona.

Nelle adiacenze del vecchio Convento esiste qualche pianta secolare di ulivo di qualità “carolea” innestata sull’oleastar. Sono queste piante vestigia della attività agricola dei frati? È probabile.

Per avere un ricordo ne abbiamo riprodotta qualcuna a bianco e nero e poi a colore che conserviamo unitamente al disegno dei ruderi (Vedi riproduzioni in appendice).

Ciò abbiamo fatto nella certezza che la mano dei vandali distruggerà questi preziosi avanzi abbandonati a se stessi, nonostante il nostro interessamento presso le autorità competenti e la segnalazione su varie Riviste Letterarie.

Questo monastero appartenne alla Provincia di Sicilia fondata dai Carmelitani del Primo istituto nel 1472 annesso alla Provincia di Calabria per Decreto di Benedetto XIII, trasferito poi a Curinga esistette fino al 1809 dove ora sorge il Santuario del Carmine.

I religiosi attingevano l’acqua potabile da una sorgente denominata “Vrisi” (etimo greco: sorgente) dove dal loro frate Elia hanno fatto piantare un platano che dopo tanti secoli esiste ancora; è di grandi proporzioni, vegeta bene per quanto abbia il tronco vuoto che può ospitare dieci persone in piedi, è alto più di dieci metri.

In queste contrade i monaci Basiliani, conservando il Rito Greco e seguendo la regola del Grande Patriarca, organizzarono l’agricoltura avendo ottenuto vaste estensioni di terre.

Costituite le France e le Cellule secondo i loro sistemi, queste divennero fattorie che introdussero quanto più era possibile l’attività agricola. A questa attività che portava il benessere materiale alla gente sparsa e priva di direzione tecnica, univano le attività culturali e nella solitudine si dedicavano agli studi letterari e teologici. Sceglievano fra gli elementi locali più intelligenti quelli che dimostravano tendenza allo studio e ne formavano dei religiosi.

 

S. Giovanni in Contrada Pilli

Scavando il tracciato per la strada Comunale che partendo dalla provinciale dal Piano delle Aie si ricongiunge con la strada di campagna che dal rione Addolorata va verso la contrada Nucari (1942) all’incrocio di detta strada di campagna è stato scoperto dallo scrivente un pezzo di pavimento costruito col sistema antico di «Calce battuta» volgarmente detto «astraco» (etimo greco) il quale (secondo le osservazioni di alcuni vecchi) faceva parte della piccola Chiesa di S. Giovanni Battista, demolita dal terremoto del 1783. Durante gli scavi per la livellazione, sono affiorati frammenti di resti umani nonché ossi di bestie frammisti a calcinacci, pezzi di mattoni e tegole.

Secondo le notizie assunte dai vecchi del luogo pare che i loro antenati abbiano tramandato le notizie secondo le quali le prime case di Curinga, in seguito all’esodo dei Lacconesi, siano sorte in quella zona abbandonata poi in seguito al terremoto e per la difficile viabilità, dal momento che il terreno era, com’è attualmente, di natura argillosa e ricco di bolo. Sicché preferirono edificare nel pendio che l’attuale Chiesa dell’Addolorata va in giù.

Evidentemente la chiesetta di cui ci siamo interessati apparteneva al primo nucleo abitato; è bene ricordare che nel 1769 era sotto la cura di Giuseppe Messina.

 

Rione Ospizio:

In questo rione chiamato anticamente Gallicinò (etimo greco = zona abbattuta dai venti), esisteva in epoca imprecisata, la dimora dei Fratelli Questuanti francescani, i quali ospitavano i bisognosi. Non si sa se i ruderi esistenti nei pressi della fontana Trecanali appartennero a questa dimora.

 

Calvrici (Biancospino):

Nel 1310 in zona Calvrici, territorio di Curinga che limita con quello di Francavilla, in collina esisteva un convento Basiliano assistito dal religioso Costantino, Faceva parte della Comunità di Curinga. Forse esiste qualche rudere interrato.

 

Antica Chiesa di S. Giovanni di Acconia:

Attaccate ai ruderi del Palazzo ducale di Acconia, esistono le mura dell’antica Chiesa di S. Giovanni Battista, della quale fu arciprete Curato Pietro Sonnino, poi vescovo di Cerenzia e Cariati ed indi di Nicastro, dove morì. Costruzione ad una navata con finestre ogivali. Si notano nel 1962 alle pareti, tracce di affreschi non identificabili, trattati a tricomia primitiva, su intonaco corroso dal tempo. A tale data non esiste campanile, nè pila, nè altare.

 

Mulini a forza idraulica:

Alla falda sinistra del rione Ospizio tra il burrone arrena di Curinga, esistono i ruderi di una serie di mulini, i quali azionati da acqua proveniente dalla montagna e che attraversava il piano delle Aie. Alcuni di questi ruderi si vedono anche nei pressi della fontana Trecanali. L’acqua non venne più convogliata dopo dell’800, epoca in cui alimentava in testa un oleificio a forza idraulica del quale esistono ancora i ruderi della sentina, appartenenti alla famiglia Cesareo.

 

Cunicolo sotterraneo al rione S. Rocco:

Nel luglio del 1965, al di sopra del rione S. Rocco di Curinga, durante lo scavo per la fondazione di una casa, venne alla luce l’entrata di un cunicolo (piccola galleria) alto m. l. 60 e largo m. 0,60. A suo tempo fu scavato in arenario molto compatto in direzione Nord. L’ho percorso con una lampada, per oltre centro metri. Non ho proseguito perché era interrotto da piccole frane.

Alle pareti ed alla volta ho notato solo i colpi a striscio degli utensili di lavoro adoperati. Non vi è segno di muratura.

Alle pareti esiste di quando in quando, un incavo che poteva servire per poggiare una lucerna durante il lavoro.

Resta enigmatico lo scopo di questa specie di galleria: poteva servire come camminamento per sfuggire alle persecuzioni saracene?

 

Palazzotto:

Nell’abitato di Curinga, in Piazza Garibaldi, già Piano di Palazzo, esisteva fino al 1910 un rudere di antico fabbricato di età medievale, rovinato in seguito a terremoto di data imprecisata. Apparteneva al Duca. Nei magazzini venivano depositate le derrate provenienti dai terreni ducali di Acconia.

Veniva chiamato il palazzotto perché di modeste proporzioni.

Dopo il terremoto del 1908, venne costruita in detto locale, una chiesa in legno chiusa ai Sacri Uffici per paura di nuove scosse telluriche, nella quale si ufficiò per alcuni anni.

Dopo la demolizione della chiesa in legno, sul medesimo posto, sorsero abitazioni civili che vi sono tuttora.

Sul frontespizio del Palazzotto, ad Ovest, vi era intatto un portale in pietra da taglio di stile Barocco, che venne acquistato dal Cavalier Sebastiano Perugino, maggiore dei Reali Carabinieri in pensione, che lo utilizzò per l’ingresso della sua casa.

 

Palazzo Ducale in Acconia:

Esistono in zona S. Giovanni di Acconia, sulla strada carraia che dalla Provinciale che conduce alla Stazione Ferroviaria di Curinga, porta al greto del torrente Turrina, i ruderi dell’antico palazzo Ducale; costruzione Barocca con grande portale in granito a bugne (bugnato a punta di diamante).

Sulla facciata principale ad Ovest vi sono ancora le mura di una alta torretta che veniva adibita a prigione temporanea per i tipi sospetti durante la permanenza in quel palazzo dei componenti la famiglia del Duca.

Detto palazzo appartenne alla Regina Sancia, la quale era figlia naturale di Re Alfonso II, e nel 1494 venne sposa a Goffredo Borgia.

La regina Sancia ebbe col palazzo Ducale di Acconia, il Feudo di Maida da Re Roberto; la regina a sua volta lo donò a Goffredo Marzano il 16 settembre 1331.

Il palazzo stesso con annessa villa fu anche proprietà dei Sovrani Angiò.

Nel cortile del palazzo esistevano fino al 1964 quattro colonne di granito in stato di abbandono. I Cefaly di Cortale li fecero trasportare in quell’anno nel cortile della loro villa nei pressi della Stazione Ferroviaria di Curinga. Durante il trasporto, due si sono rotte ed ora ivi giacciono, sempre in stato di abbandono. In questa stessa villa esiste, anch’esso abbandonato, un mulino romano di lava vulcanica.

 

Ellene

Nel vecchio alveo del Torrente Torrina esistono dei ruderi denominati volgarmente «Mura di Elleni». Parte di detti ruderi affiorano al piano terra attuale, mentre altri contigui si elevano fino all’altezza di quasi quattro metri, ma per mano di vandali, perché incustoditi, vanno sempre scomparendo nonostante le premure fatte dallo scrivente agli organi competenti.

La costituzione della muratura   di detti avanzi, è in gran parte a sacco con ciottoloni di fiume, pezzi di mattone, malta ordinaria, nonché rivestimento in mattoni di argilla dalle dimensioni di cm. 15x4. La muratura in elevazione è in gran parte a mattoni di evidente carattere romano.

Sono in evidenza alcune nicchie, e addossati alle pareti, esistono “tuboli” di argilla rotondi e piatti. Sono le condutture delle acque calde e dei vapori al calidarium.

È evidente che sotto lo strato di terra alluvionale esiste per lo meno un altro piano dell’edificio1.

Nella muratura di notano al rivestimento quà e là mattoni di argilla di dimensioni maggiori di quelli sopra citati, ma nessuno di essi porta una sigla. ecco cosa ne pensa lo studioso P. F. Russo (La Diocesi di Nicastro, pag. 38). Anche nel territorio di Maida, come nel resto della Piana, sono affiorati dei resti archeologici notevoli tra cui gli avanzi di un tempio pagano dedicato a Castore Polluce o a Giove in contrada Ellene.

 

Prato S. Irene

È questa un’altura sabbiosa che conserva i caratteri di un sistema di dune che si prolunga in gran parte in vari punti della Piana che dall’Angitola arriva quasi al basso fiume Lamato. Trovasi il Prato S. Irene a sud dell’antica Acconia.

A quanto asserisce il Fischer nella «Penisola Italiana» a pag. 3 e 35 e 36 è da supporre senza cadere in errori di fantasia che tali alture siano in dipendenza del bradisismo nonché dalle libecciate che infuriano in inverno in tutta la piana di S. Eufemia colpendo per primo il litorale sabbioso.

Se consultiamo la detta pubblicazione vediamo come la conformazione geografica del periodo terziario è tutt’altro che identica a quella del quaternario recente e quindi, stando a questo illustre geologo, dobbiamo accettare la teoria secondo cui il mare si estendeva fino alle pendici dell’attuale territorio di Curinga dove, dopo molti secoli, è sorta Acconia nuova. Sorgeva qui l’abitato delle «Torri», che finora nessuno ha potuto ubicare sia pure in ipotesi. In «Diocesi di Nicastro» P. F. Russo parla a pag. 65 di una «Statio ad Turres».

Nel «Prato Santirene» durante la coltivazione della terra sono stati ritrovati frammenti di sarcofagi in argilla di manifattura greca, che raccoglievano le spoglie dei Laconesi. Era questa la necropoli dell’antica città? È da supporlo.

 

Trivio

Di recente, in zona Trivio, ed esattamente sulla litoranea che dal ponte Randace porta alla strada statale 18, sulla sinistra, nella proprietà Sig. Giuseppe Greco, lavorando la terra con mezzi meccanici, è affiorato una grande quantità di avanzi di tombe con carattere greco o romano in uno spazio di alcune migliaia di metri quadrati. I ritrovamenti fanno supporre che trattasi di una necropoli: di quale città? Pensiamo che potesse appartenere alla cittadina «Le Torri» menzionata da parecchi scrittori; nei pressi di detti ritrovamenti passava la via Popilia ed è verosimile che una città di una certa importanza sorgesse su una via di grande comunicazione. Secondo le asserzioni di P. F. Russo «Torri» fu sede di Diocesi, ma in seguito alla distruzione della città da parte dei Saraceni nel IX secolo la diocesi stessa si trasferì a Nicastro, e dice ancora P. F. Russo a pag. 45: «La dominazione romana aprì delle strade a carattere militare e strategico di grande importanza coma la Popilia e la Traianea, lungo le quali sorsero le stazioni militari di grande valore; tali infatti erano le tappe segnate nell’itinerario di Antonio come la Statio ad «Sabatum Flumen nel territorio di Martorano e l’altra ad Turres in quello della Piana distanti tra loro 18 miglia» ed a pagina 60 «con la dominazione Bizantina compare una nuova Diocesi quasi a metà strada fra Tempsa e Vibona. Si tratta della Statio ad Turres, la quale dovette prendere un notevole incremento sì da divenire una cittadina capace di ospitare anche una sede vescovile». La sua esistenza è attestata nell’epistolario di S. Gregorio Magno per la fine del sec. VI, a pag. 64: «Vibona, Tempsa e Torri Latine di lingua e di rito greco nel sec. VIII».

Sempre per ipotesi dunque, stando a quanto menzionato, i ritrovamenti  descritti possono essere appartenuti alla Statio ad Turres creata dai romani e sviluppatasi nei periodi successivi.

Dati i fenomeni naturali e cioè le formazioni di dune sabbiose a causa delle libecciate e gli allagamenti causati dai fiumi dall’Angitola all’Amato che inondavano la Piana rendendola un pelago, niente di più facile che i resti di quella che fu una cittadina, giacciano sepolti dallo strato alluvionale formatosi durante i secoli.

 

Torrazzo:

Esiste in zona «Mezzapraia» una torre circolare denominata Torrazzo la quale faceva parte di un sistema difensivo costruito lungo la costa tirrenica intorno al 1600 sotto Carlo V.

Riportiamo quanto il Sinopoli in «La Calabria» a pag. 77 dice: «Il Vicerè don Pietro di Toledo su consiglio di Fabrizio Pignatelli, ordinò la costruzione di un certo numero di torri costiere chiamate torrazzi, a forma di tronco di cono, parecchie delle quali furono edificate con materiale di demolizione ricavato da vicine costruzioni greco-romane e grossi tributi furono imposti alle popolazioni per tali costruzione».

La nostra torre presenta contigui i ruderi di altro fabbricato che si presume della medesima epoca. Si vede ancora una scalinata che evidentemente portava al piano superiore; da un esame fatto sul posto si è visto che per la costruzione è stato adoperato anche materiale ricavato da vecchi edifici.

Lo scopo di dette torri era l’avvistamento delle navi corsare che infestavano il nostro mare fino al 1820. In esse veniva mantenuta una guarnigione di uomini chiamati, «Cavallari», i quali, avvistate la navi in arrivo, saltavano a cavallo ed avvisavano del pericolo gli abitanti dei villaggi circonvicini e le truppe di stanza nell’entroterra onde si potessero organizzare le difese.

In cima a detta torre funzionava nell’801 il cosiddetto telegrafo ad asta che comunicava con l’analogo dispositivo di Monteleone e di Capo Suvero. Si vuole che in tempi remoti esistesse nei pressi altra torre denominata Torre Vecchia dalla quale prese il nome un bosco esistente nella zona circostante e distrutto nel 1900 dalla incuria e dalla pessima utilizzazione fatta da parte del Comune.

 

La Torre Vecchia

In Comune di Curinga di fronte al mare, dove fino al 1930 circa, esistè un grande bosco di elci, ora distrutto, esistono importanti ruderi di una grande torre rettangolare, costruzione in pietrame e malta comune.

È evidente che il materiale adoperato ha tutte le caratteristiche del materiale di recupero, proveniente da macerie locali; probabilmente da costruzioni arcaiche distrutte da terremoti o da eventi bellici. Al Nord esistono gli avanzi di una scala a gradini che porta al quasi distrutto secondo piano. Detta scala è stata costruita con pezzi irregolari di evidente recupero. Sull’ultimo gradino a sinistra, si notano alcune lettere incavate, di una scritta logorata ed illeggibile: IN PN PM: solo queste lettere sono leggibili.

Da notizie tramandate verbalmente, risulta che in quel posto esistè una torre costruita nel IX secolo avanti Cristo.

N. B. Per quante ricerche abbiamo fatto, non siamo riusciti ad avere migliori notizie al riguardo, nè sappiamo quale popolo si è insediato in quel posto prima dell’occupazione greca.

 

Fondaco Vecchio o del fico

In zona Eccellente, in territorio fra Curinga e Francavilla Angitola, esisteva fino al 1969 un vecchio maniero; rudere turrito ai due angoli occidentali sulla Via Popilia, di vastissime proporzioni.

Da ricerche fatte mi è risultato che fu Villa di Sica Vibonese, amico di Cicerone, dove questi veniva ospitato durante il passaggio nel recarsi a Vibo Valentia (Hipponio) ed in Sicilia. Questo maniero venne chiamato “La Capanna di Cicerone”.

Molti sono i reperti di tombe romane sparse in quelle vicinanze e nel territorio adiacente. (Vedi mia Pubblicazione “Itinerari Calabresi).

Durante la recente costruzione del doppio binario ferroviario, è stato selvaggiamente demolito, nonostante il mio interessamento presso le autorità competenti che disposero l’intervento di alcune personalità con a capo l’Assessore Anziano della Provincia, Professor Cesare Mulè, la Dott.ssa Zinzi ed il sottoscritto in qualità di Ispettore Onorario delle Antichità. Ma tutto fu vano e questo maestoso ed importante prezioso avanzo, venne cancellato dalla nostra Storia.

 

La Via Popilia

La Via Popilia, che da Cosenza sboccava alla marina di Nocera Terinese, dopo avere attraversato il Fiume Savuto, sul quale i romani costruirono un ponte in territorio dell’attuale Comune Marzi, seguiva il litorale. Attraverso la Piana di S. Eufemia, passava a qualche chilometro al disotto della Città di Acconia e proseguendo al disopra della Torre Vecchia, saliva avanti al Fondaco Vecchio o del Fico e proseguendo in pianura in zona Eccellente, fino alla riva destra del Fiume Angitola (già Tanno). Quindi per una passatoia su lastroni si pietra nei pressi del Monte Marello, dove oggi vi è il lago artificiale, saliva fino ai ruderi di Rocca Angitola, già centro abitato, di Crissa, fondato da Crisso Focese, il quale dopo la disfatta di Troia, approdò sulla nostra spiaggia presso la foce dell’Angitola.

Da Rocca Angitola, la Popilia saliva nei pressi dell’attuale Comune di S. Onofrio e arrivava in territorio di Hipponio, passando a poca distanza dalle attuali Mura Greche e per la zona Scrimbia, arrivava alla periferia della città, proseguendo per Mileto e Reggio.

Vestigia di insediamento etnico preistorico in zona “Quarto” di Curinga

 

Escursione maggio 1974

 

Vestigia di stanziamento preistorico forse dell’età neolitica nel territorio dell’antica Acconia - oggi Curinga.

Nella piana di Curinga (antica Acconia) al di sotto dell’uliveto Cutura, che trovasi ad Ovest della palude Imbutillo, esistono alcuni rilievi sabbiosi (già dune), appianate durante la messa in cultura. Questi rilievi formano la zona denominata Quarto, che si trova a circa cento metri dalla strada carraia detta dei francesi o di Posta, che ricalca l’antica via romana Popilia che prosegue per Eccellente.

A Nord della zona Quarto, trovasi la vasta zona Scarcio.

Nei rilievi sabbiosi Quarto, ed in tutto il territorio adiacente, affiorano giornalmente numerosi reperti fittili di epoca pre greca, greca e latina, fra i quali, molti di ossidiana, alcuni dei quali lavorati con motivi decorativi. Affiora anche qualche frammento di bucchero.

Questa quantità di reperti è di piccole dimensioni; ciò indica che durante la coltivazione della terra, manufatti in origine usati dalla popolazione ivi stanziata, vennero frantumati.

È bene tenere presente che le dette zone; Cutura, Imbutillo e Scarcio, fecero parte del territorio di Acconia.

È noto che lungo il percorso delle vie romane, vi erano dislocate le Stazioni militari. A proposito di ciò il Capialbi ammette che in territorio di Acconia è esistita la Stazione di carriagi romani “ad turres”.

Lo storiografo Padre Francesco Russo, in “Diocesi di Nicastro” segna fra Vibo e Cosenza diverse stazioni e fra queste “Statio ad turres” che fu sede vescovile, la cui esistenza è attestata da S. Gregorio Magno per la fine del VI e VII secolo. Sede Vescovile che in seguito alle scorrerie dei Saraceni venne trasferita a Nicastro.

Nell’itinerario di Antonino, figurano le seguenti distanze: dal fiume Sabato o Savuto a Turres, miglia 18 da Turres a Vibona miglia 21; il miglio romano è di m. 1484,589. Da Savuto a Turres abbiamo dunque miglia 18 equivalenti a km. 31 e m. 176.

Secondo lo sviluppo della Popilia, che noi conosciamo in gran parte, il calcolo ci porta a pensare che nella zona Quarto dovrebbe essere l’ubicazione dell’abitato Ad turres nel territorio di Acconia.

Dopo nostre approfondite riflessioni e dopo aver visitato attentamente tutto il territorio e dopo il ritrovamento in loco della quantità dei reperti già menzionati, è nostra convinzione che il centro abitato Ad Turres era ubicato sulla Popilia.

È nostro dovere segnalare che la nostra attenzione per tali ricerche è dovuta alla cortesia di informazione da parte della appassionata e colta insegnante Signora Daniele in Sestito, alla quale è affidata la Scuola Elementare della zona Quarto, dove con molto zelo si è attivata a fare una raccolta dei menzionati reperti che gentilmente ci ha concessi in visione e di cui abbiamo eseguiti i vari disegni allegati, nei quali è espresso il nostro giudizio sulla loro epoca di fabbricazione e di uso; si può pensare che la zona è stata abitata fin dalla prima età dei metalli e quindi nei periodi Greco e latino(vedi disegno in appendice).

 

Escursioni eseguite nel maggio 1974.

 

Acconia o Lacconia:

In un perimetro di diversi chilometri avente per centro il ponte della ferrovia sul Torrina, in una zona pianeggiante o quasi si estendeva Acconia detta da alcuni Lacconia che fu fiorente città ellenica.

Esistono ancora vestigia della sua grandezza e fra i ruderi sparsi primeggia quello che fu un tempio pagano dedicato a Castore e Polluce.

Il Barrio lo ricorda come «Castellano» a tre miglia del mare e a sei da Maida. Acconia ebbe a soffrire per le incursioni dei Longobardi alla fine del VI secolo e per quelle dei Saraceni nei secoli IX e X. Si riebbe sotto i Normanni; sparì definitivamente nel 1783. Non abbiamo sufficienti notizie che ci possono illuminare sulle precise origini e perciò riportiamo quelle forniteci da illustri scrittori.

P. F. Russo ne «La Diocesi di Nicastro» a pag. 50 testualmente dice: nel 1638 un tremendo terremoto atterrò quasi tutte le località della Piana tra cui l’Abbazia di S. Eufemia, Maida, Feroleto, Lacconia e Nicastro e a pag. 71 l’inondazione del fiume Amato nel 1766 fu gravissima per tutta la Piana ed in particolare modo per Lacconia che invasa dalle acque fu ridotta ad un arenario. Noi azzardiamo che P. F. Russo sia caduto in errore poiché l’Amato trovavasi ad un livello interiore dell’ubicazione di Acconia, ma piuttosto pensiamo che il fiume danneggiatore sia stato il Torrino che era alle sue spalle.

P. Russo continua: «Lacconia fu rasa la suolo dal terremoto del 1783 e non è più risorta,  i suoi abitanti l’hanno abbandonata».

Per notizia tramandata da padre in figlio ci risulta che l’ultima abitante di Acconia si chiamava Elisabetta (detta donna Betta) che nonostante il terremoto non si è trasferita ed abitava nell’800 al Palazzo Ducale di cui ancora esistono i ruderi attaccati alla vecchia chiesa di S. Giovanni Battista.

Riportiamo altre notizie tramandateci da illustri scrittori: «Curinga ebbe villaggio Acconia o Lacconia che prima dell’occupazione militare apparteneva a Maida e da Feudo costituisce una ducea per lo primogenito di quel principe; Acconia era popolata da 130 famiglie nel 1532 e da 10 nel 1633, 237 individui nel 1793 e da 15 nel 1816; ma oggi è sprovvista di abitanti, quivi i nostri sovrani Angiò ebbero una villa». «Questo paese fu dato in feudo ai Sanfelici nel 1307 ma venne poi in assoluto dominio della Regina Sancia.

Era Sancia figlia naturale di Re Alfonso II che nel 1479 venne sposa a Goffredo Borgia dalle cui mani passò ad altri. era in pregio per la sua antica e ricca chiesa di S. Giovanni battista della quale nel secolo XV fu arciprete curato Pietro Sonnino dell’istesso luogo, poi vescovo di Cerenzia e Cariati ed indi di Nicastro».

Pietro Sannino da Majda trasferito quà (Nicastro) l’anno 1489 dalla Chiesa di Cariati. Visse poco, morto sul principio dell’anno seguente. Una tale chiesa è oggi vacante ed è governata da un economo che fa residenza a Curinga. Nel sito di Acconia si vedono i ruderi di altre due chiese, di grandi edifici, di un magnifico tempio ellenico di greca struttura, miseri avanzi di passate grandezze.

Dopo queste notizie aggiungo per mia personale conoscenza (siamo nel 1962) che alcuni anni fa essendomi recato in territorio di Acconia, oggi frazione di Curinga che conta circa 800 abitanti, ho constatato che in zona Prato S. Irene dove tutt’ora esiste la chiesetta di S. Giovanni battista, in un angolo di detta Chiesina vi era una campana lesionata e quindi non in uso con la seguente scritta: “IEI DIVO PRAECURSORI DA 10 ANNES BAPT FERRARO NEOCAS A ARCHIPR A  ACONIAE A DICAT OPTUS MAGISTERI I TIEI IONYMI CONTI ANNO DOMINI 1657 A”.

È evidente che nel 1657 era arciprete un Ferraro.

Detta chiesa riattata nel 1944 è stata a memoria d’uomo aperta al culto curata da un arciprete, ultimo dei quali Don Domenico Bianca da Curinga, uomo generoso il quale aveva una dimora in una casetta vicino la chiesa. Il Bianca in precedenza era stato Cappellano Maggiore, Canonico e Parroco della Cattedrale di Nicastro. È morto, compianto da tutto il popolo, il 1954.

In contrada S. Giovanni, a monte del «Barco vecchio» oggi proprietà Stillitani a cultura uliveto, esistono i ruderi dell’antica e più splendida chiesa di S. Giovanni Battista (di cui fanno mensione l’Unghetti, il fiore ed il Mannato) vedi pagg. precedenti. È una costruzione ad una navata con finestre ogivali. si notano alle pareti tracce di affreschi non identificabili trattati a tricomia primitiva su intonaco corroso dal tempo. Non esiste campanile, pila o altare1.

A circa cento metri da detti ruderi vi è il greto del Torrente Torrina. Attigui ai ruderi esistono quelli dell’antico palazzo ducale degli Angiò il quale è provvisto di una torre quadrata che veniva adibita a prigione. Nel cortile del palazzo giacciono abbandonate quattro colonne monolotiche di marmo verde di Calabria. Facevano parte della Chiesa o del Tempio pagano Ellene che dista in linea d’aria alcune centinaia di metri?

Dal libro di Giuseppe Barone edito a Firenze. Tipi Emilio Ladi 1942 pag. 246 riportiamo: “Nel casale di Lacconia esisteva nel 1820 la cappella di Bianca Foca dove ardeva in quell’epoca una lampada votiva alla Vergine ed un’altra alla memoria del Duca Nicola dove erano le tombe dei familiari di tal Nindo, agente dei Principi Ruffo”.

E noi aggiungemmo: “Detto Nindo era nipote del curato di Acconia il quale nel 1780 per incarico della Duchessa Ippolita Ruffo, trasformò la grande prateria di Campolongo in uliveto. Il versante a Nord di Campolongo che limita con l’attuale strada provinciale che porta allo Scalo si S. Pietro a Maida fu trasformato in uliveto verso il 1890 da un fattore, tal Genise. Detto nuovo uliveto venne chiamato Pianta Nuova, nome che conserva ancora. Don Vincenzo Ruffo di Calabria dei Duchi di Bagnara, Duca di Baranello, fu Signore di Curinga e di Acconia il 21 aprile 1796 e a tale data nominava Governatore dei propri vassalli col titolo di Capitano il Signor Domenico Ciliberti. Detta nomina risulta da una pergamena in possesso del sig. Giuseppe Ciliberti fu Gaspare.

Verso il 1820 Lacconia viene classificata Casale dello Stato di Maida, appartenente al Duca Francesco Ruffo di Bagnara nato nel 1799. I comuni in quell’epoca venivano chiamati «Università». I 120 capi feudali, cespiti di rendita baronale, esistenti in tutto lo Stato di Maida furono acquistati il 12 dicembre 1691 da Don Fabrizio Ruffo il vecchio per 157,520 ducati (ogni ducato valeva L. 4.25).

Campolongo superava di poco in quell’epoca le 300 èttare di superficie con 30.000 piante di ulivo.

Nicola Ruffo (1742-1749) figlio secondogenito di Francesco, figlio di Carlo Duca di Baranello, nel 1772 sposò la quattordicenne Ippolita (1758-1830) figlia primogenita del primogenito il quale non ebbe prole maschile.

Nicola Ruffo fu colpito da apoplessia. Dopo il terremoto affidò il governo del suo Stato alla giovane consorte, donna di alto intelletto. Egli visse ancora undici anni seduto su di una poltrona. Dopo la morte di Nicola Ruffo la vedova donò con atto 18 marzo 1795 tutti i suoi titoli a Don Vincenzo Ruffo di Baranello, capo di ramo secondogenito dei Bagnara.

S. Nicola di Laconia era un cenobio maschile il quale nel 1324 era già in rovina.

La parrocchia di Acconia fu eretta nel XV secolo e contava 500 abitanti. Ecco quanto ci dice P. F. Russo ne «La Diocesi di Nicastro» a pag. 244: “Fu il 36° Vescovo di Nicastro Pietro Sonnino 1489 - 1490. Non di Maida come scrivono il Fiore ed il Taccone Gallucci, ma di Lacconia, dove nacque intorno al 1440. Era arciprete della sua città quando il 22 ottobre del 1487 da Sisto IV fu nominato Vescovo di Cerenzia e Cariati, da dove fu trasferito a Nicastro con bolla del 26 gennaio 1489 (140). L’8 ottobre versò i soliti cento fiorini alla Camera Apostolica (141). Morì dopo un solo anno di governo”.

Elia Samato lo ricorda con ammirazione: Plenus meritis et doctrinis abiit mundo, fama non abiturno. Il Parisi afferma che in quell’anno di governo operò molto in favore della sua città natale (142).

 




1  Certamente deve esistere nel detto piano sottostante il “praefornum” per il riscaldamento dell’aria e dell’acqua che attraverso i “tuboli” pervenivano agli ambienti da riscaldare.

1  Fu arciprete curato Pietro Sonnino, poi vescovo di Cerenzia e Cariati e indi di Nicastro dove morì.