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ACCONIA RISORGE
Per
quante ricerche ci siamo premurati di fare, non siamo riusciti a conoscere le
origini della fondazione di questa città. Abbiamo indagato nelle memorie di
illustri scrittori, come P. Fiore, Bernardino Marturano, Girolamo Sambiasi, il
Barrio, il Marafioti ed altri; ma nulla ci concreto è emerso.
Cercheremo
di riunire quelle notizie che abbiamo potuto raccogliere dopo lunghe ricerche.
Chiediamo
compatimento al cortese lettore se non abbiamo potuto fare di più. Fino ad oggi
non vi sono notizie sull’insediamento di popoli nella regione Tirrenica,
avvenuti prima del IX sec. avanti Cristo. Ci risulta che nei tempi antichi,
Acconia fu chiamata hautonia e fu detta terra molto antica. Fu pure detta
hacconia ed infine Acconia; nome imposto dai greci a quel centro abitato
preesistente alla loro occupazione. Come è noto, l’occupazione greca della
nostra terra appartiene al vero periodo dell’avvento coloniale del IX - VIII
sec. a. C. che si sviluppò prima sullo Ionio e poi sul Tirreno. Bisogna tenere
in considerazione che i Locresi avanzarono verso il Tirreno nel VI sec.
estendendo il loro dominio su Temesa ed Hipponion.
Dato
che il territorio di Hipponion si estendeva oltre la piana di S. Eufemia c’è
da pensare che Acconia, che è in questo comprensorio, facesse parte del dominio
ipponiate e quindi greco. Per avvalorare la grecità della nostra Acconia,
abbiamo un elemento di molta importanza, e cioè: esisteva, come esiste, nella
Grecia meridionale, una regione denominata Laconia, regione che nel II sec. a.
C. fu occupata dai Dori; si presume che gli invasori hanno voluto dare questo
nome al centro abitato trovato qua. I ruderi di Acconia li troviamo nella
adiacente zona Ellene e perciò dobbiamo dare maggior credito alla grecità di
tutto il territorio dove ancora esistono col nome Ellene i ruderi di un
complesso termale di cui ci siamo interessati altre volte. Complesso costruito
probabilmente sui resti di un tempio pagano interrato in cui è tramandato il
culto di Castore e Polluce. La nostra città Acconia e tutto il territorio
Ellene, dopo aver subito parecchie incursioni fu occupata dai saraceni
nell’867. L’arrivo funesto di orde devastatrici si unisce all’inclemenza
degli alluvioni che dal torrente Turrina in piena, invadono ogni angolo della
feconda e ridente città che fa parte della Magna Grecia.
A
tanto sfacelo, non minore distruzione portano i terremoti, fra i quali quello
del 1783 che la rase al suolo e non è più risorta.
La
ridente città non offriva ormai che l’aspetto squallido di una città morta.
Le scheletriche rovine di rispecchiano cupe negli acquitrini fumiganti al sole e
spesso in una atmosfera plumbeo di morte; al lento incalzare della malaria
inesorabile, nemmeno le divinità obliate potevano evitare stragi e saccheggi, e
così l’opulenta Acconia scontava il suo destino. In questo dramma cala il
sipario dopo le scorrerie dei saraceni, dopo l’inclemenza degli alluvioni
e dei movimenti tellurici, per chiudere una triste pagina che resta
memorabile nella storia. Dopo la fuga del nemico della cristianità e del
rallentamento delle altre calamità, ai superstiti acconesi, non rimaneva altro
che l’esodo verso i monti, al sicuro da eventuali nuovi pericoli, non esclusa
l’insidia dei miasmi pestilenziali delle paludi apportatori della malaria.
Questi
profughi si annidavano sulle rupi da dove contemplano mesti nella vasta pianura
sottostante i resti della loro città. Molti trovano asilo e si insediano sulle
colline dell’attuale Curinga, dove sulle pendici dei costoni, costruiscono le
prime abitazioni ed in zona Pilli una chiesetta dedicata a S. Giovanni Battista,
per ricordare l’antica Chiesa di Acconia. Questa nuova chiesetta è stata
distrutta da un terremoto, forse da quello del 1783.
Sorge
intanto nel costruendo paese, la grande Chiesa di S. Andrea Apostolo protettore
con quella di S. Nicola, oggi Confraternita dell’Immacolata, in memoria di
quella di S. Nicola di Acconia; viene quindi costruita la Chiesa di S. Francesco
di Paola distrutta anche questa da un terremoto. Si sviluppano intanto i rioni
Addolorata e S. Giuseppe, ognuno con la propria Chiesa. Col passar degli anni,
la vasta ubertosa pianura di Acconia cambia volto. I pronipoti di quei profughi
intravedono la resurrezione di quella terra ed attirati da un possibile
ondeggiare di spighe tanto sognato, scendono al piano e col vomere trainato
lentamente da superbi bovi, tracciano i solchi non sempre uguali, poiché un
macigno, un ammasso di muratura è un ostacolo. Non si rende conto il bifolco
taciturno che quell’intoppo fece parte di una dimora atavica o dell’urna del
suo progenitore e mesto, senza poter pensare che una sorpresa darebbe luce sulla
storia di quella contrada, continua la sua fatica.
Parlando
in un linguaggio arcano quelle zolle e pare vogliano recitare un salmo benedetto
alle orme della Cristianità che giacciono al di sotto di loro.
I
tempi cambiano, gli anni si accavallano e quello che chiamiamo progresso avanza.
Lo sforzo del bove che regge il giogo non c’è più. L’agricoltura è
meccanizzata, il trattore continua lo scempio nel disseppellire e riseppellire i
resti di quella che fu la civiltà greco-romana. L’oblio scende inesorabile
sulla vetusta Acconia, ma la sua resurrezione si avvicina; il suo fatale destino
ha compiuto il suo ciclo.
Come
per incanto il profumo della zagara imbalsama l’aria, il tenue rosa del
mandorlo, il bianco fiore dei frutteti, l’olezzo delle fragole, il polline
dorato dell’ulivo in fiore, rendono gaia l’esistenza di Acconia che risorge.
Nel
1894 la zona è attraversata dalla ferrovia. Gli acquitrini diminuiscono, la
malaria è combattuta. Nel 1930 le acque vengono disciplinate, convogliate,
canalizzate; le paludi prosciugare e si inizia la cultura della terra.
Una
rete stradale rende agevoli le comunicazioni. Riaffiorano intanto i ruderi della
città morta e quelli delle costruzioni medievali con il palazzo Ducale, ridotto
ora ad un rudero anche per l’incuria dei suoi proprietari, dove l’ultima
abitante di Acconia restò fedele attaccata fino alla morte. Il suo nome Donna
Betta (leggi Elisabetta) è rimasto nella storia locale. Siamo nel 1970 e
vediamo risorgere l’antica città, come frazione di Curinga e conservare il
suo antico nome Acconia. È un villaggio costruito dallo Stato circa
trent’anni orsono, con la sua bella chiesa davanti ad un’ampia piazza,
intitolata a S. Giovanni Battista. comode e moderne abitazioni formarono questo
complesso abitato nei pressi della stazione ferroviaria, dove si moltiplicano le
costruzioni private e case popolari. Il villaggio ha le sue scuole, la luce,
ottima acqua potabile, negozi, bar, officine meccaniche e quanto occorre per una
vita civile. L’edilizia prende sviluppo e si estende al territorio
circostante, fino alle dune sabbiose di Prato S. Irene e verso la strada
litoranea che porta al mare; dove un villaggio nomade costituito da baracche
lungo una pista lunga oltre due chilometri, accoglie oltre quattromila bagnanti.
Intravediamo in questo sviluppo edile, agricolo e commerciale l’avvenire della
nuova Acconia, destinata a diventare importante centro della Piana Lametina.
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