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PROLUSIONE DI CESARE CESAREO VISTO DA DARIO LEONE |
Tratto da “Calabria Letteraria” Gennaio - Febbraio 1978
Egli
ha portato un valido contributo alle scoperte archeologiche che si sono succedute
nella vasta zona di Curinga, interessando molte volte la Soprintendenza alle
Antichità con i suoi rilievi personali, che culminarono con bel volumetto “Curinga”,
edito da la “Rapida”, Fermi, 1966, in cui “Don Cesare” condensò i suoi studi
e le sue ricerche. In questo volumetto, vi sono descritte in modo piano e brillante
tutto quel che fino allora si conosceva della città di Curinga e del Villaggio
di Acconia o Lacconia, località che per tanto tempo è stata oggetto di lunghissime
ricerche da parte di “Don Cesare”.
In
questo libretto tanto prezioso, oltre ai rilievi di carattere demologico e socio-economico,
di grande importanza per le conoscenze moderne della zona, si aggiungono quelle
storico - archeologiche, che rivestono un particolare interesse. Ma il vero
valore del volumetto è costituito dalla documentazione storica e dalla descrizione
dei vari monumenti che si trovano «in situ».
Uno
di questi è il Convento di S. Elia Vecchio, con annessa chiesa, entrambi in
stile greco - basiliano, edificati forse nel XIII o XIV secolo, su per giù coevi
della piccola chiesa basiliana si S. Ruba di Vibo Valentia.
Oggi
di questo convento e di questa chiesetta
non restano che dei ruderi, ancora sormontati dalla caratteristica cupola
ogivale su cui è ancora visibile, sul portale, un bellissimo stemma aragonese.
Nulla
si sa della storia di questo convento, come nulla si sa della comunità che lo
abitò. A questo monumento che resta misterioso, a questi ruderi di un passato
sconosciuto “Don Cesare” dedicava tutta la sua attenzione e amava ritrarre queste
rovine in dipinti e disegni, quasi cercasse di penetrare questo mistero e di
far vivere un passato perduto.
Ma
l’interesse maggiore “Don Cesare” lo dedicò, con fine intuito, ai ruderi delle
«Terme» romane, che si trovano in località Lacconia, di particolare interesse
storico per il periodo in cui esse vennero erette, il periodo tardo-romano,
quando questa zona era fittamente abitata. Quando “Don Cesare” rivolse la sua
attenzione al monumento nulla si conosceva con precisione della sua storia,
non si sapeva a cosa attribuire questi ruderi.
Appartenevano,
essi, a delle terme o a un tempio? Lo stesso Padre Russo, nella sua “Diocesi
di Nicastro” , certamente fuorviato da una non esatta informazione, attribuì
questi ruderi a un non precisato tempio ellenico dedicato al dio Elios. Gli
scavi che successivamente vennero portati a termine dalla Soprintendenza sfatarono
questa leggenda, donarono al monumento una precisa attribuzione e una precisa
datazione (111 sec. d. C.), confermando ulteriormente, nella zona, l’esistenza
per il passato di numerose ville romane delle quali oggi si è persa ogni traccia,
ma che l’esistenza della «Terme» fanno supporre.
Non
bisogna dimenticare che, non molto lontano da questa località, non molto tempo
prima, era venuta alla luce e completamente distrutta, una ricca necropoli romana
del 111 sec. d. C., che “Don Cesare” ed io avevamo segnalata alla Soprintendenza:
segnalazioni che non ebbero nessun seguito, un’incuria che portò alla completa
scomparsa di prezioso materiale archeologico, tratto dalle numerose tombe. Sono
cose che capitano!
Anche
lo scavo alle «Terme» venne rimandato più volte e certamente non sarebbe mai
stato realizzato, senza l’interessamento di “Don Cesare” e certe pressioni al
di fuori del ristretto ambito scientifico. Oggi, queste «Terme» che “Don Cesare”
tanto contribuì a riportare alla luce e a garantirne la conservazione sono completamente
invase dalle spine e dai rovi, è divenuta nuovamente nel dimenticatoio, posta
alla mercè delle ingiurie del tempo e degli uomini.
Appassionato
raccoglitore del folklore locale, d’archeologia, di voci dialettali “Don Cesare”
fu un grande ammiratore del Rohlfs, che lo tenne in grande considerazione. Ma
tutto ciò non è che un lato della sua complessa personalità, il cui senso artistico
si espresse in numerose opere pittoriche
paesaggistiche e naturalistiche che, nella sua infinita modestia, egli non volle
mai esporre, per riservarle agli sguardi ammirati dei suoi amici più fidati.
Unitamente
ai numerosi articoli scritti su «Calabria Letteraria» tutto questo è quel che
resta di Cesare Cesareo che, con tutta la sua modestia, la sua grande intelligenza,
ma soprattutto il suo grande amore, ha contribuito notevolmente alle conoscenze
storiche e archeologiche della vasta Piana di S. Eufemia. Oggi “Don Cesare” non è più che un ricordo. Per gli amici che gli furono vicini, per gli studiosi che lo seguirono e lo seguiranno, egli è qualcosa di più, qualcosa di vivo che lascia dietro di se una grande impronta.
FRANCESCO DI CELLO
Cortese
lettore,
giovane
o adulto che tu sia, desideroso di approfondire le notizie storico - archeologiche
su alcune località della nostra terra calabra, a te è dedicato questo prezioso
volumetto, frutto di pazienti ed oculate ricerche di un appassionato spigolatore,
che da oltre 40 anni è insignito del titolo di Ispettore onorario per l’Antichità
e Belle Arti, titolo conferitogli con regolare Decreto Ministeriale.
È
l’autodidatta Cesare Cesareo, Cavaliere di Vittorio Veneto, che alla profonda
dedizione per le accurate ricerche archeologiche, unisce un’apprezzata passione
per il disegno e la pittura, di cui possiede un’ammiratissima collezione di
artistici quadri, da lui creati e vivificati.
Egli,
con il suo volumetto “Itinerari calabresi” ha voluto non solo manifestare il
suo profondo attaccamento alla terra che gli diede i natali, ma ha voluto anche
mettere in evidenza il valore storico ed archeologico di una determinata zona
della nostra Calabria, non da tutti ben conosciuta e che parrebbe sia stata
addirittura un po’ ignorata e negletta.
Nel
suo fruttuoso peregrinare attraverso città, paesi e contrade di Calabria si
è, per ora, particolarmente soffermato nella zona del territorio di Francavilla
Angitola, ove nei pressi del fiume Angitola, sembra abbia soggiornato
Cicerone.
Raggiungendo,
poi, con occhio vigile ed indagatore il territorio di Polia, ricco di grotte
troglodite, e proseguendo, attraverso i ruderi di Castelmonardo, per la zona
di Filadelfia, di Francavilla e di Montesoro, si è alquanto indugiato nella
zona di Curinga, ove in località “Clemenza” nel sottosuolo di un Santuario,
costruito sembra nel 1629, ha scoperto un antico sepolcreto, che fu anche da
lui stesso, a suo tempo, dettagliatamente descritto in un articolo pubblicato
su “Calabria Letteraria”.
Proseguendo,
ancora, per S. Pietro a Maida, Maida e Vena di Maida, ha visitato, ultima tappa,
la zona di Cortale, patria del pittore ottocentista Andrea Cefaly, del quale
si conserva tuttora nel Museo Provinciale di Catanzaro la sua immensa galleria
di pregevoli quadri. Ho voluto artatamente fare un fugacissimo accenno alle località finora visitate dall’Ispettore Cesareo, sfiorandone appena gli argomenti da lui magistralmente trattati, sia per non sminuire la loro importanza, sia per consentire al cortese lettore di poterne meglio valutare il contenuto attraverso la diretta lettura e meditazione. Il che certamente riuscirà a lui assai gradito.
Lamezia Terme - Nicastro - Dicembre 1972
Francesco
Di Cello Premessa dell’Autore
Non
mi fermo in retorica fuor di luogo in queste poche pagine; cercherò di mettere
in evidenza il valore storico ed archeologico di una vasta zona, valore finora
quasi ignorato, specialmente dai naturali. Sono indagini, ricerche, riflessioni
che ho compiuto con perseveranza, per l’amore che porto a questa terra, nella
speranza di non avere sprecato un po’ di tempo libero.
Forse
il lettore troverà qualche nota che esula dalla ricerca storica e che sconfina
nella cronaca; di ciò chiedo scusa.
I
primi storici parlavano di una mitica origine arcade, ma non arrivavano
ovviamente a penetrare nel labirinto della preistoria e stabilire quale popolo
abitò la Calabria prima dell'VIII secolo a.C.; insistono sull’origine Pelagia
ed Enotria dei primi abitatori della nostra terra e ritengono che i Pelagi si
identifichino con i Tirreni (etruschi).
Per
una analisi strettamente storica è necessario basarsi esclusivamente sulle
fonti storiche: i monumenti, i reperti archeologici che talvolta all’occhio
del profano sembrano insignificanti (un coccio, un pezzo di impasto, un mattone,
una sigla, un frammento di utensile ecc.) gli etimi delle parole dialettali, i
costumi, le usanze, i caratteri somatici e tanti altri elementi che possono
illuminare il ricercatore e la ricerca, anche quando le fonti vi siano, è
sempre ardua e difficile: spesso infatti le deformazioni e le trasformazioni
operate attraverso i secoli dall’opera degli agenti della natura e dalla mano
dell’uomo, possono portare lo studioso fuori strada ed è pertanto
indispensabile, prima di pronunziarsi, vagliare molto attentamente gli elementi
di giudizio.
Sulla
nostra terra si sono avvicendati molti popoli: la posizione geografica infatti
è tale che tutti i popoli in transito dall’oriente all’occidente
mediterraneo e dal nord al sud, sono passati attraverso questa Calabria
lasciando, più o meno visibilmente, le tracce delle singole civiltà.
È
risaputo che uno degli scopi principali dei popoli invasori in tutte le epoche
è stato quello economico, ed in quelle remote epoche in cui le risorse
principali erano costituite dall’agricoltura, è ovvio che gli invasori
tendessero all’occupazione delle terre più fertili.
Il
grande Orsi, attraverso gli scavi e con i suoi profondi studi, ci ha illuminati:
dice che prima dell’occupazione greca, gli aborigeni erano tanto civili da
contrarre scambi e rapporti commerciali con popoli egei, di manufatti fittili,
di ceramiche che i greci imitarono.
I
reperti dell’età del ferro e del bronzo affiorano in Calabria molto spesso.
Se
il lettore volesse approfondire le proprie cognizioni, non sarebbe fuor di luogo
visitare il Museo Nazionale di Reggio Calabria, al quale il Prof. Dottor
Giuseppe Foti, nostro conterraneo, Soprintendente alle Antichità della
Calabria, ha dedicato i migliori anni per curarne la formazione e
l’incremento.
Era
già forte di lunga esperienza acquisita in Etruria. Oggi è fra i maggiori
storiografi Nazionali.
Sappiamo
che la vita di un popolo con i suoi
costumi, si rispecchia e si manifesta nel suo linguaggio, dal quale ritrae la
storia e la civiltà. Se si dà uno sguardo ai vari dialetti che si parlano in
Calabria, non è raro notare che molte voci Osche affiorano sulle labbra degli
abitanti, specialmente nel contado. |