4 marzo 2012
«La bellezza è un valore morale».
Era un tormentone quello
dell'allora vescovo di Locri
Giancarlo Bregantini. Non
perdeva occasione per
raccomandare di intonacare le
case, sistemare le strade,
curare i giardini, perché «in un
posto brutto è facile che i
ragazzi crescano brutti».
Insomma, insiste nel libro Non
possiamo tacere , l'estetica è
etica: «i paesi più brutti e
trascurati sono quelli segnati
dalla mafia».
«Niente cultura, niente
sviluppo», ha titolato Il
Sole 24 Ore lanciando un
appello per fare ripartire il
Paese puntando su una
«costituente» che «riattivi il
circolo virtuoso tra conoscenza,
ricerca, arte, tutela e
occupazione». I confronti su 125
nazioni, stando ai dati
dell'Università di Costanza, non
lasciano dubbi: dove c'è più
cultura c'è più innovazione, più
sviluppo, più ricchezza e meno
corruzione.
Rovesciamo: dove c'è meno
cultura c'è meno innovazione,
meno sviluppo, meno ricchezza,
più corruzione. Nel 2001
investivamo sul nostro tesoro
d'arte e paesaggi solo lo 0,39%
del Pil, siamo precipitati a un
miserabile 0,19%: è stato
saggio? Colpa della crisi,
dicono. Ma investendo nel
«Guggenheim», spiega uno studio
di Kea European Affairs per la
Ue, Bilbao ha recuperato in 7
anni i soldi spesi «moltiplicati
per 18», con la parallela
creazione di migliaia di posti
di lavoro. Al punto d'esser
presa a modello dalla Francia,
che per rianimare l'agonizzante
area di Lens ha deciso di fare
lì, tra le fabbriche dismesse,
un nuovo «Louvre» col calcolo
che, per ogni euro investito, ne
torneranno «come minimo sette».
Dice uno spot girato da
Berlusconi che l'Italia ha
«il 50% dei beni artistici
tutelati dall'Unesco». Magari!
Ma è vero che su 911 ne abbiamo
più di tutti nel pianeta: 45.
Molti più di Francia o Stati
Uniti che ci staccano nelle
classifiche turistiche. Il guaio
è che questo patrimonio, accusa
un dossier PwC, lo usiamo male,
ricavandone la metà rispetto a
Gran Bretagna, Germania e
Francia e un terzo rispetto alla
Cina.
Ci vorrebbe più testa, per
usarlo. E una classe
politica più interessata,
curiosa, colta. Alla
Costituente, pur avendo la
guerra ostacolato i percorsi
universitari, era laureato il
92% dei parlamentari: oggi la
quota si è inabissata al 64%. Ma
è il Paese tutto ad arrancare:
dai sindaci ai governatori,
dagli assessori ai consiglieri
regionali. E giù giù ai
cittadini che, sempre più
indifferenti al bello e al
brutto, arrivano a costruire
pattume cementizio abusivo sul
promontorio di capo Vaticano o
sul basolato della via Domiziana
accanto alla tomba di Scipione
l'Africano.
Da dove ripartire, per
fermare la dittatura
dell'incuria? Dalla scuola:
da lì occorre ricominciare. Se è
vero che la nostra stessa
identità è definita dai nostri
tesori artistici e paesaggistici
al punto che noi italiani per
gli altri «siamo» la torre di
Pisa e Rialto e Pompei, la
storia dell'arte via via più
maltrattata («sarà possibile
diplomarsi in Moda, Grafica e
Turismo senza sapere chi sono
Giotto, Leonardo o
Michelangelo», si indigna Tomaso
Montanari sull'ultimo bollettino
di Italia Nostra) deve essere
materia di interesse nazionale.
E permeare i nostri figli fin
dalle elementari. Investiamo
sulla bellezza e sulle teste: è
un affare.
Tratto dal "Corriere della sera" Gian Antonio Stella