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Aspettando la primavera...

 

Nelle ultime settimane sono apparsi su questo sito numerosi interventi contenenti analisi dell'attuale realtà del nostro Comune, di quella che, ahimè, appare come una lenta ma inesorabile deriva lungo la quale la nostra comunità sembra scivolare verso un inesorabile declino nonostante ci sia un diffuso desiderio di allontanarsene prima e meglio possibile.

Desidero partecipare alla discussione offrendo alcuni miei pensieri alla riflessione di tutti col solo scopo  di inserirmi  in quell'ottica ed in quello spirito che fa parlare Elia Pallaria di un rinnovato interesse, alimentato soprattutto dal blog curato dal sito, il che è un fatto oltremodo positivo, perché può rappresentare un importante passo in direzione dell’innalzamento del livello di “partecipazione” dell’opinione pubblica e di condivisione delle problematiche tra le istituzioni, le Associazioni di categoria, le Associazioni culturali, gli studenti universitari e la cittadinanza”. Quasi un risveglio di primavera in un momento in cui, sempre per citare Elia, “la parola d’ordine dovrebbe essere progettare insieme aprendo una vera metodologia di partecipazione e presentando idee”.

Ho letto diversi articoli in cui si  evidenziano  quelle che  potrebbero essere le cause di una situazione che, se non modificata, è destinata a portarci verso la completa disgregazione sociale, politica ed economica: c'è chi  indica responsabilità nella cattiva politica  e nelle  inefficienze delle amministrazioni comunali, chi negli operatori economici, chi negli intellettuali, chi nelle associazioni ecc...: ognuno pensa di individuare dei soggetti  ai quali attribuire  delle colpe e da additare più o meno al pubblico ludibrio .Vengono fatte anche tante proposte valide, legittime, utili, ad avviso di chi ne scrive, per la rivitalizzazione di una comunità che ai più appare spenta, in lenta e progressiva decadenza.

In tutte le proposte, però, a me sembra di rinvenire un difetto comune: soffrono della mancanza dell'analisi dei motivi più profondi per cui si è arrivati al punto in cui ci troviamo, senza la conoscenza dei quali non c'è alcuna possibilità di imbastire alcun discorso positivo verso il futuro e nessun problema può essere risolto.                                                                                                                                                        Mi riferisco al progressivo ed inesorabile indebolimento, prossimo alla perdita, dell'identità  di Curinga come ente sociale, come  comunità intesa nell'accezione più estesa del termine ossia come insieme  di individui accomunati non tanto e non solo dalla vicinanza geografica quanto dalla comunanza di interessi culturali, morali, linguistici e storici oltre che politici sociali  ed economici.                                                                   E' da qui che bisogna partire : occorre osservare e capire le  tantissime modificazioni che hanno interessato la gente di Curinga, alterandone il DNA sociale con l'indebolimento di quei legami che fanno di ogni insieme di individui (uomini o animali)  una società, creando rapporti di varia natura e favorendo l' instaurarsi di forme di cooperazione, collaborazione, divisione dei compiti che assicurano la sopravvivenza e la riproduzione dell’insieme stesso e dei suoi membri garantendone la persistenza e la perpetuazione nel tempo.

Come già si leggeva  in un documento di qualche anno fa dell'Associazione per la promozione della cultura storica, il quale allora forse passò quasi inosservato ma che, letto con gli occhi di oggi, ha del profetico, Curinga, purtroppo, non è rimasta estranea a quel “ generale e diffuso degrado che ha colpito le regioni del Mezzogiorno d’Italia e la Calabria dopo la costituzione dello Stato unitario ed i cui fondamentali caratteri sono concordemente delineati dagli studi storici delle più svariate tendenze, ed alla  più grave crisi ha investito, dagli anni Cinquanta in poi del  secolo scorso anche il nostro Comune  .Una tale crisi, che tuttora perdura ed i cui esiti è difficile allo stato attuale prevedere, ha coinvolto simultaneamente, per il concorso di diversi fattori, i tradizionali sistemi di produzione e di scambio di beni materiali, l’equilibrio demografico, l’assetto dell’insediamento umano, la cultura della zona, accentuandone la marginalità e la dipendenza.

Non si è trattato, cioè, di un cambiamento a carattere fisiologico e a carattere evolutivo; esso, infatti, non ha comportato né la crescita economica né l’affermarsi di più giusti equilibri sociali né il diffondersi di una più matura coscienza civile né un autonomo sviluppo del costume e dei modelli-guida della convivenza. Sono evidenti, anzi, il calo della tensione progettuale, la deresponsabilizzazione morale, il qualunquismo politico, una tendenza alla fuga dall’universo di valori della comunità; e quest’ultimo fenomeno tende sempre più a chiudere in un penoso isolamento la persona anche a causa di un progressivo frammentarsi e svuotarsi delle strutture di solidarietà e di partecipazione (l’area parentale ed amicale, i rioni, le associazioni religiose ecc.) senza che emergano nuove forme di socializzazione capaci di creare un tessuto di relazioni e di punti di riferimento condivisi, di aprire spazi e di offrire strumenti che consentano di esprimersi alle volontà decisionali dei singoli e dei corpi sociali intermedi.

Una tale crisi d’identità potrebbe provocare ulteriori crolli e stravolgimenti o, all’opposto, irrigidimenti xenofobi e conflittualità di genere vario in un momento come quello attuale in cui si accentua, con l’immigrazione, la circolazione di gruppi umani appartenenti ad etnie e culture assai diverse. In un tale contesto è difficile dubitare del fatto che uno degli elementi più distruttivi della crisi sia costituito da un affievolirsi della coscienza di sé che ha debilitato le varie comunità e che,   ha portato alla disistima verso il proprio vissuto storico, al rifiuto alla speranza  effetto di una disorientata, sgomenta sudditanza interiore nei riguardi di alcuni motivi della cultura del mondo occidentale industrializzato .

La conseguenza di tutto ciò non poteva che essere  un individualismo diffidente e talvolta aggressivo più che competitivo, un consumismo sazio ed insieme insoddisfatto, la massificazione provocata dalla soggezione ad un uso dei linguaggi che non stimola l’emergere del senso critico, ma che chiede 1’ appiattimento emotivo, un prassismo ottuso, ora facilone ora arrogante, che esclude la necessità e la dignità della vigilanza del pensiero, che irride alla serietà del dubbio, alla fatica della ricerca, la tendenza a fomentare lo spirito gregario e, di conseguenza ad esaltare il mito del capo che tutto sa e tutto decide ,l’assolutizzazione del presente e, quindi, la negazione  , della esigenza di riesplorare continuamente il passato e di riappropriarsi di esso come di una riserva di ipotesi per il futuro, per cui la storia è vista come nostalgia di bei tempi andati ed usata come giustificazione ed abbellimento  del presente....”                     Effetto di tutto  ciò non poteva che essere il progressivo ripiegamento dei più in sé stessi, la chiusura a qualsiasi tipo di rapporto interpersonale e sociale che prescindesse dal proprio ristretto orizzonte, la rottura di quei vincoli e di quegli scambi che costituiscono le maglie su cui si basa qualsiasi rete sociale.

Se le “rughe”,di cui tanti parlano con nostalgia, cadono a pezzi o non esistono più non è solo per un semplice problema urbanistico-abitativo-economico : esse non esistono perchè erano luogo di incontro, di scambio di momenti di vita, di relazioni fitte e quotidiane, di interesse ed attenzione verso l'altro, verso il vicino, ”vicini mia specchiali mia” si diceva, ed ora non lo sono più. Non esistono per la chiusura di ognuno nel proprio guscio , al massimo monofamiliare. Non esistono perchè la nostra è diventata una società parcellizzata, atomizzata : i legami sociali si sono allentati portando la nostra comunità nei pressi della dissoluzione completa. Ognuno si è chiuso nella tana dei propri interessi lasciando fuori la porta il resto del mondo .

Questo è ciò che si è verificato sia a livello di singoli che a livello pubblico. Non ci siamo, forse, neanche accorti della scarsa presenza di gente disposta veramente ad impegnarsi per il bene comune mentre sembra emergere ed andare per la maggiore, ricevendo anche diffuso apprezzamento, la figura di certi personaggi  che vengono comunemente identificati come “arrampichini sociali”.Si tratta  di individui mediocri, grigi, che si  mettono alla corte del potere perché hanno bisogno di essere sostenuti nella loro scalata sociale, perché hanno bisogno di apparire seri, perbene. Cercano di diventare amici di un onorevole o almeno di un consigliere regionale o, meglio ancora , di un pezzo da novanta di qualche assessorato o qualche ministero romano; fanno parte di una o più associazioni culturali di quelle che, riempiendo le piazze estive  di mostre, spettacoli , ricchi premi e cotillon una passerella non la negano a nessuno; a volte scrivono su qualche giornalino di provincia previa dettatura o correzione dei pezzi per mano d’altri; vanno a messa tutte le domeniche perchè devono apparire timorati di Dio e sono in stretto rapporto con prelati e/o  cardinali, in ogni caso con gente che conta; comprano tanti libri preferendo quelli che meglio si intonano con il colore delle pareti della propria casa; scelgono gli amici migliori per i propri figli, le scuole da frequentare e, ovviamente , gli insegnanti a cui raccomandarli; praticano molto l’attività sportiva specie il salto sul carro del vincitore o del notabile di turno.                                                                                                                                                       In questo contesto un'afasia generalizzata sembra avere colpito la gente di Curinga: taluno fa ricorso al malcostume dei volantini anonimi, i più tacciono. Se qualcuno osa  squarciare  il velo di silenzio che sembra avere avvolto la nostra comunità è additato come  presuntuoso  moralista quando va bene; isolato, boicottato e messo all'indice dell'indifferenza quando va peggio.                                                          

  Il silenzio troppe volte si tramuta in sospetto, bloccando qualsiasi tentativo di crescita ed impedendo che il disagio diventi autocoscienza comune e comune sforzo di autosuperamento.                                             Le poche  energie dei singoli e delle aggregazioni spesso si arenano contro il muro dell'indifferenza generale e, a volte , si trasformano  in cieca furia di aggressione reciproca. Quante iniziative di pubblico interesse sono state criticate e bloccate? Quante invidie? Quante maldicenze? Quante volte ci si è comportati come al tempo dei polli di Renzo a Curinga, in Calabria, e non solo?

Come dimenticare i livori che hanno bloccato tante iniziative causando  perfino la perdita di risorse economiche destinate a progetti portati avanti da gente solamente interessata a dare un gratuito contributo sul piano culturale e sociale del nostro paese e boicottate per  il solo torto di essere fuori dal giro di potentati e corti biliose ed ignoranti ?

Ma,ovviamente, non basta solo criticare.

Non basta  indicare semplicemente i mali: si correrebbe il rischio di aumentare la sfiducia ed il pessimismo, creare panico, favorire ulteriormente le chiusure.

La rifondazione e la rinascita della nostra società possono svilupparsi dal recupero del senso di comunità, dal ritrovamento di quei legami profondi che possono farci ritrovare le risorse materiali e spirituali dai quali ripartire in corale impegno di elaborazione di un nuovo progetto per l’oggi e per il domani.

Occorre a mio parere recuperare “quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione” che nel primo libro su Gesù pubblicato nel 2007 Benedetto XVI chiedeva ai lettori. Così come occorre essere ben disposti verso l’autore di un libro o di una musica , come verso ogni persona che si incontra, per poterli adeguatamente comprendere, allo stesso modo occorre ritrovare non  un semplice sentimento ma  ricreare una comunità all'interno della quale i singoli componenti siano capaci di  coltivare   un comune pathos ideale, di mettere in comune sentimenti, interessi, finalità, ideali, di “patire-con” se necessario (in greco la parola συμπάθεια  significa letteralmente "patire insieme”) , di lasciarsi alle spalle i personalismi e gli egoismi, di impegnare  le proprie energie nella  riscoperta di  una vocazione comune, di farsi una ragione per continuare ad esistere insieme, protesi verso il bene di tutti.

Forse non è inutile richiamare alla memoria l'apologo di Menenio Agrippa il quale nel  VI secolo a.c chiamava all'unità ed alla collaborazione i romani  paragonando   la società ad un corpo umano nel quale, come in tutti gli insiemi costituiti da parti connesse tra loro, se  tutti  collaborano insieme sopravvivono, se discordano insieme periscono poiché se un qualche organo si rifiutasse di collaborare tutto il corpo ne risentirebbe negativamente.

Tornando all'attualità e a certi discorsi letti  in questi giorni: non penso si possa realizzare la rinascita di Curinga con i giochini stucchevoli, absit iniura verbis, (le ingiurie non aiutano e non portano a niente .ndr)

 a cui stiamo assistendo in questi giorni sulla scena politica comunale né, tanto meno, resuscitando aggregazioni partitiche cancellate dalla storia e condannate all'oblio in quanto non più  rispondenti all'interesse comune in quanto  tese alla cura di interessi personali o di cricche più o meno numerose.  Occorre stimolare tutte le persone a prendere parte, ognuno per le proprie possibilità e capacità, alla costruzione  di una comunità  organica, armoniosa, coesa, intesa come insieme di persone e di relazioni fatta non solo da   individui uniti esclusivamente da fattori  di natura biologica, etnica, religiosa, linguistica ma vista come  entità all'interno della quale i suoi membri danno particolare rilievo ai valori, alle norme, alle usanze e agli interessi della collettività anteponendoli a quelli personali e facendo in modo che  il senso di appartenenza e la coscienza di interessi comuni diventino un fattore di solidarietà e, di conseguenza, di crescita comune.                                                      

   Senza queste premesse non si riuscirà mai “a fare squadra , a stare insieme, a collaborare, a fare a volte qualche passo indietro per il bene della nazione e del paese” come qualche giorno fa  auspicava Lisa Michienzi su Curinga-in.it.

Dal vuoto nasce solo il nulla.

Occorre ritrovare l’anima dello stare insieme senza la quale nessuna ricostruzione, nessuna rivitalizzazione sarà possibile: nessun edificio può  essere costruito su cumuli di  macerie passate e presenti.          

 Fra poche ore sarà il ventuno marzo: un segno di speranza.  

 Se,però, la primavera tardasse ad arrivare sarebbe drammaticamente triste continuare a vivere nella penombra dell'inverno.

 

 Curinga, 20 marzo 2011, vigilia della primavera astronomica

 

                                     Angelo Augruso

 

 

 

www.curinga-in.it

 

 

 

 

 

 

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