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Itinerari della memoria

 

Prima Parte

 

Seconda Parte

 

Terza Parte

Itinerari della memoria
Eccezionale documento sonoro del 1990, tratto da quello che qualche anno dopo sarebbe diventato parte integrante del libro "Geografie verticali", del quale c'è una recensione nella sezione "Storia arte e cultura"
Il documento descrive tre chiese di Curinga ormai perse nelle nebbie del tempo, delle quali Il Prof. Augruso fece delle ricerche insieme ad alcuni suoi alunni, i quali in una trasmissione radio dell' emittente Radio S. Andrea, diretta da Cesare Cesareo, descrivono minuziosamente i luoghi e la storia legata ai siti archeologici presi in esame.
Documento eccezionale poiché quello che si ascolterà, è la trasmissione originale con le voci dei ragazzi dodicenni di allora, che ora saranno sicuramente uomini e donne che ricorderanno forse con un po' di nostalgia quel periodo.
E' indubbio il valore archeologico della ricerca e la passione con la quale è stata condotta.
Cesare Cesareo

 

 

IL MONASTERO DI S. ELIA "VECCHIO" A CURINGA(CZ)

di: Eugenio Donato  

 

Immagini tratte da:"Geografie Verticali"

Curinga 15/12/2006     Un giallo irrisolto da 600 anni  parte 1

Prima parte

Quando la storia, l'archeologia, la leggenda, si incontra con la realtà, non tutto appare chiaro scientifico,riscontrabile. Le nebbie e il mistero del passato sembrano avere il sopravvento, le certezze si dileguano il mistero sembra diventare più importante della storia.
La breve storia che oggi voglio raccontare vuole aprire uno spaccato di un avvenimento che forse ha sconvolto una piccola comunità monastica che da secoli pregava , lavorava e curava religiosamente la gente che gravitava intorno ad essa.
Il nostro viaggio nel tempo inizia oltre 1000 anni fa quando dal oriente iniziarono ad arrivare monaci dell'ordine di S. Basilio a evangelizzare l'aspra terra di Calabria per poi spandersi per tutta l'Italia.
Una piccola comunità di monaci trovò salubre ed adatta per meditare e pregare una zona tra il monte Contessa e il mare Tirreno, vi si stabilì e iniziò la costruzione del Monastero. Dopo alterne vicende storiche di abbandoni del luogo e cessione ai Monaci Carmelitani si giunge al secolo 15° Quei secoli per tutto il mezzogiorno e soprattutto per la Calabria, che era al centro di interessi di potere, furono tempi di lotte che videro contrapporsi Aragonesi e Francesi . E? forse in questo periodo di lotte, inganni, compromessi, alleanze tra potenti, che il nostro monastero è testimone di fatti che non tramandati da alcun documento scritto, vengono svelati dopo alcuni scavi e ricognizioni archeologiche.......

........Continua...........

Cesare Cesareo

Curinga 20/12/2006   Un giallo irrisolto da 600 anni parte 2

parte 2

La nostra storia o meglio il nostro caso irrisolto (che cercheremo di valutare, studiare, analizzare insieme) inizia non troppo tempo fa.
Tralasciando situazioni contingenti, fatti politici, religiosi, interessi culturali e storici che hanno sempre caratterizzato l’interesse che questo monastero ha avuto soprattutto nelle vicende del nostro paese e di chi per secoli lo ha sentito un proprio possedimento, con circospezione ci addentriamo in quelle nebbie del tempo che molte cose nascondono ma non annullano. Il nostro intento è…. o meglio…. vorrebbe essere, quello di far luce sui fatti reali, inconfutabili, che andrò a raccontare.
In una tiepida primavera come solo nella nostra collina si sente tra profumi delle erbe e quell’aria inaspettata che sa di mare, un piccolissimo gruppo di archeologi guidati allora da un giovane ricercatore Giuseppe Antonio Cuteri , scavava e studiava con lena questo magnifico complesso , con questa cupola perfetta e qelle strutture mai terminate rispetto al progetto originario ; quand’ ecco nella cappella della piccola chiesetta del monastero si intravede la struttura di una tomba . Nulla di strano ne di eccezionale, come ben si sa i corpi dei defunti venivano per lo più seppelliti nelle chiese . Si pensò ancor prima di trovare qualcosa che sarebbe stato di notevole interesse trovare nella sepoltura i resti del mitico fondatore del monastero, lo stesso che probabilmente aveva piantato (come ricerche botaniche recentissime hanno accertato) il platano che nella sua maestosità ha visto passare sotto le sue frondose chiome oltre mille anni di storia.
Ma ecco lo stupore, lo sconcerto, l’inimmaginabile, nella sepoltura non c’era lo scheletro di chi si sperava, ma………
…………continua……..

Cesare cesareo

 

Curinga 11/01/2007

Parte terza
Sembra impossibile, ma allo sguardo di chi in quel momento era presente apparve un quadro a dir poco agghiacciante, un brivido gelato attraversò le schiene e nonostante la calura estiva si facesse sentire e le cicale continuassero a cantare con ritmo assordante, mancò poco che qualcuno gridasse o svenisse. Il primo impatto e le prime cose viste in quella tomba aperta dopo 600 anni furono queste: all’ interno quello che si notò immediatamente fu la presenza di due teschi, poi pian piano ripresi dallo stupore si intravidero le ossa, ma ancora stupore si notò quasi subito che le due gambe erano tagliate e poste sul petto dello scheletro.
Presi ormai dagli eventi , le persone presenti, cominciarono a sbirciare tra le ossa e cercare di capire il perché di tutto quello, si intuì poco dopo, che sotto il primo scheletro ce ne era un altro intero.
Che fare? …. Come interpretare questo ritrovamento?.....Gli addetti ai lavori, ma soprattutto l’archeologo, decisero di far fare presso istituti specializzati, ricerche appropriate, per poter risalire al periodo della sepoltura, ma soprattutto avere notizie più precise sullo scheletro con le gambe tagliate.
Le analisi autoptiche, passato il tempo necessario giunsero, i risultati lasciarono ancor più sconcertati gli addetti ai lavori.
Immaginate chi per primo lesse i risultati, che sommariamente dicevano che gli scheletri delle persone ritrovate appartenevano a due donne, piuttosto giovani, delle quali ad una erano state segate le gambe, mentre l’altra era presumibilmente deceduta a causa di un colpo infertole al cranio con un corpo contundente. Queste scarne righe di commento sugli scheletri, aprirono indubbiamente delle domande, alle quali non è stata data ancora nessuna risposta.
Personalmente, le domande che mi si affollano alla mente sono tante e alle quali non voglio dare momentaneamente risposte, ma vorrei che questa storia ci coinvolgesse a tal punto da giungere a dare delle risposte quantomeno plausibili e chi si voglia cimentare e cercare di risolvere il giallo può farlo dando una mano a questa storia senza inizio e forse senza fine.
Ma più che per la storia in se stessa, mi sono chiesto, che questa è realmente una storia vera, ma che è stata dimenticata e fa anche parte della storia della nostra comunità e della piccola comunità di monaci che trovò salubre ed adatta per meditare e pregare una zona tra il monte Contessa e il mare Tirreno.
Per non dimenticare ancora per altri 600 anni mi chiedo:
1) Come mai pochi sanno di questa vicenda?
2) Dove sono finiti gli scheletri ritrovati?
3) Dove sono i verbali degli scavi e di tutto ciò che è stato trovato,?
4) Ci sono interessi che tutto ciò venga dimenticato?
5) Domande al giallo delle due donne (uccise) e sepolte in un convento ce ne sono tante , ma mi sono posto anche le domande al giallo più recente, del nascondere forse involontariamente tutto ciò che ha riguardato gli ultimi anni di questo eremo .

Cesare Cesareo

P.S. Del ritrovamento degli scheletri esiste un filmato che documenta in maniera sicuramente meno romanzata ciò che ho scritto, ma storicizza l’evento in maniera asettica.

Qualsiasi vostro contributo a risolvere questo giallo è importante per la storia di Curinga. Attendiamo le vostre risposte ai tanti perchè

Ricerche sugli insediamenti neolitici in Calabria.

Il “Calabria Neolithic Project” ha indagato il sistema di settlement patterns ed economia di sussistenza delle prime comunità agricole in quella regione. Con sistematiche campagne di survey sono stati localizzati numerosi insediamenti neolitici mentre scavi condotti in siti contigui nella Piana di Curinga (Catanzaro) hanno restituito la prima buona serie di strutture neolitiche nel Mediterraneo Occidentale.
La ricerca include anche studi geomorfologici (ricostruzione della struttura ed evoluzione geomorfologica dell’area); paleobotanici (ricostruzione dell’economia e dell’ecologia); petrografici (studio dell’ossidiana proveniente dalle Isole Eolie e dei sistemi di scambio tra le isole ed il continente); ed infine studi sul materiale ceramico.
In collaborazione con il Dept. of Anthropology della State University of New York at Binghamton (USA).

Curinga 6/12/06 Terme Romane: Qualcosa si muove.

Da qualche giorno un' equipe di studenti della facoltà di Beni Culturali dell' Università di Cosenza, guidata dalla prof. Chiara Raimondo, sta realizzando un progetto di pulitura, schedatura,misurazione e catalogazione del materiale ceramico di IV-V sec d. C, rinvenuto nello scavo delle Terme Romane di Acconia . Scavo condotto e presieduto dalla stessa professoressa nel gennaio 2006. E' molto probabile che, fra qualche mese, lo scavo verrà riaperto; e considerando i risultati delle prospezioni fatte nel terreno circostante le terme, si spera di aprire un altro saggio di scavo per poter portare alla luce strutture diverse dalle terme ma ad esse strettamente connesse.
Maria Cesareo

Siti Archeologici Calabresi

Itinerari Calabresi

di Cesare Cesareo

Titti i siti archeologici della Calabria.

 

Colonne Romane in Villa Cefaly ad Acconia di Curinga

Colonne " romane ". Attualmente sono all' interno della villa Cefaly ad Acconia. Probabilmente provenienti dalle Terme romane Site in località Ellene (III-IV sec. D.C.), monoblocchi in marmo verde di calabria.Da notare che gli ultimi scavi fatti nello stesso sito(primavera 2006) non hanno portato alla luce nessun' altra colonna o spezzone.

Giovanni in Contrada Pilli - Rione Ospizio - Calavrici (Biancospino - Antica Chiesa di S. Giovanni di Acconia

Mulini a forza idraulica -Cunicolo sotterraneo al rione S. Rocco - Palazzotto: - Palazzo Ducale in Acconia - Ellene - calidarium.-

S. Giovanni in Contrada Pilli
Scavando il tracciato per la strada Comunale che partendo dalla provinciale dal Piano delle Aie si ricongiunge con la strada di campagna che dal rione Addolorata va verso la contrada Nucari (1942) all’incrocio di detta strada di campagna è stato scoperto dallo scrivente un pezzo di pavimento costruito col sistema antico di «Calce battuta» volgarmente detto «astraco» (etimo greco) il quale (secondo le osservazioni di alcuni vecchi) faceva parte della piccola Chiesa di S. Giovanni Battista, demolita dal terremoto del 1783. Durante gli scavi per la livellazione, sono affiorati frammenti di resti umani nonché ossi di bestie frammisti a calcinacci, pezzi di mattoni e tegole.
Secondo le notizie assunte dai vecchi del luogo pare che i loro antenati abbiano tramandato le notizie secondo le quali le prime case di Curinga, in seguito all’esodo dei Lacconesi, siano sorte in quella zona abbandonata poi in seguito al terremoto e per la difficile viabilità, dal momento che il terreno era, com’è attualmente, di natura argillosa e ricco di bolo. Sicché preferirono edificare nel pendio che l’attuale Chiesa dell’Addolorata va in giù.
Evidentemente la chiesetta di cui ci siamo interessati apparteneva al primo nucleo abitato; è bene ricordare che nel 1769 era sotto la cura di Giuseppe Messina.

Rione Ospizio:
In questo rione chiamato anticamente Gallicinò (etimo greco = zona abbattuta dai venti), esisteva in epoca imprecisata, la dimora dei Fratelli Questuanti francescani, i quali ospitavano i bisognosi. Non si sa se i ruderi esistenti nei pressi della fontana Trecanali appartennero a questa dimora.

Calvrici (Biancospino):
Nel 1310 in zona Calvrici, territorio di Curinga che limita con quello di Francavilla, in collina esisteva un convento Basiliano assistito dal religioso Costantino, Faceva parte della Comunità di Curinga. Forse esiste qualche rudere interrato.

Antica Chiesa di S. Giovanni di Acconia:
Attaccate ai ruderi del Palazzo ducale di Acconia, esistono le mura dell’antica Chiesa di S. Giovanni Battista, della quale fu arciprete Curato Pietro Sonnino, poi vescovo di Cerenzia e Cariati ed indi di Nicastro, dove morì. Costruzione ad una navata con finestre ogivali. Si notano nel 1962 alle pareti, tracce di affreschi non identificabili, trattati a tricomia primitiva, su intonaco corroso dal tempo. A tale data non esiste campanile, nè pila, nè altare.

Mulini a forza idraulica:
Alla falda sinistra del rione Ospizio tra il burrone arrenna di Curinga, esistono i ruderi di una serie di mulini, i quali azionati da acqua proveniente dalla montagna e che attraversava il piano delle Aie. Alcuni di questi ruderi si vedono anche nei pressi della fontana Trecanali. L’acqua non venne più convogliata dopo dell’800, epoca in cui alimentava in testa un oleificio a forza idraulica del quale esistono ancora i ruderi della sentina, appartenenti alla famiglia Cesareo.

Cunicolo sotterraneo al rione S. Rocco:
Nel luglio del 1965, al di sopra del rione S. Rocco di Curinga, durante lo scavo per la fondazione di una casa, venne alla luce l’entrata di un cunicolo (piccola galleria) alto m. l. 60 e largo m. 0,60. A suo tempo fu scavato in arenario molto compatto in direzione Nord. L’ho percorso con una lampada, per oltre centro metri. Non ho proseguito perché era interrotto da piccole frane.
Alle pareti ed alla volta ho notato solo i colpi a striscio degli utensili di lavoro adoperati. Non vi è segno di muratura.
Alle pareti esiste di quando in quando, un incavo che poteva servire per poggiare una lucerna durante il lavoro.
Resta enigmatico lo scopo di questa specie di galleria: poteva servire come camminamento per sfuggire alle persecuzioni saracene?

Palazzotto:
Nell’abitato di Curinga, in Piazza Garibaldi, già Piano di Palazzo, esisteva fino al 1910 un rudere di antico fabbricato di età medievale, rovinato in seguito a terremoto di data imprecisata. Apparteneva al Duca. Nei magazzini venivano depositate le derrate provenienti dai terreni ducali di Acconia.
Veniva chiamato il palazzotto perché di modeste proporzioni.
Dopo il terremoto del 1908, venne costruita in detto locale, una chiesa in legno chiusa ai Sacri Uffici per paura di nuove scosse telluriche, nella quale si ufficiò per alcuni anni.
Dopo la demolizione della chiesa in legno, sul medesimo posto, sorsero abitazioni civili che vi sono tuttora.
Sul frontespizio del Palazzotto, ad Ovest, vi era intatto un portale in pietra da taglio di stile Barocco, che venne acquistato dal Cavalier Sebastiano Perugino, maggiore dei Reali Carabinieri in pensione, che lo utilizzò per l’ingresso della sua casa.

Palazzo Ducale in Acconia:
Esistono in zona S. Giovanni di Acconia, sulla strada carraia che dalla Provinciale che conduce alla Stazione Ferroviaria di Curinga, porta al greto del torrente Turrina, i ruderi dell’antico palazzo Ducale; costruzione Barocca con grande portale in granito a bugne (bugnato a punta di diamante).
Sulla facciata principale ad Ovest vi sono ancora le mura di una alta torretta che veniva adibita a prigione temporanea per i tipi sospetti durante la permanenza in quel palazzo dei componenti la famiglia del Duca.
Detto palazzo appartenne alla Regina Sancia, la quale era figlia naturale di Re Alfonso II, e nel 1494 venne sposa a Goffredo Borgia.
La regina Sancia ebbe col palazzo Ducale di Acconia, il Feudo di Maida da Re Roberto; la regina a sua volta lo donò a Goffredo Marzano il 16 settembre 1331.
Il palazzo stesso con annessa villa fu anche proprietà dei Sovrani Angiò.
Nel cortile del palazzo esistevano fino al 1964 quattro colonne di granito in stato di abbandono. I Cefaly di Cortale li fecero trasportare in quell’anno nel cortile della loro villa nei pressi della Stazione Ferroviaria di Curinga. Durante il trasporto, due si sono rotte ed ora ivi giacciono, sempre in stato di abbandono. In questa stessa villa esiste, anch’esso abbandonato, un mulino romano di lava vulcanica.

Ellene
Nel vecchio alveo del Torrente Torrina esistono dei ruderi denominati volgarmente «Mura di Elleni». Parte di detti ruderi affiorano al piano terra attuale, mentre altri contigui si elevano fino all’altezza di quasi quattro metri, ma per mano di vandali, perché incustoditi, vanno sempre scomparendo nonostante le premure fatte dallo scrivente agli organi competenti.
La costituzione della muratura di detti avanzi, è in gran parte a sacco con ciottoloni di fiume, pezzi di mattone, malta ordinaria, nonché rivestimento in mattoni di argilla dalle dimensioni di cm. 15x4. La muratura in elevazione è in gran parte a mattoni di evidente carattere romano.
Sono in evidenza alcune nicchie, e addossati alle pareti, esistono “tuboli” di argilla rotondi e piatti. Sono le condutture delle acque calde e dei vapori al calidarium.
È evidente che sotto lo strato di terra alluvionale esiste per lo meno un altro piano dell’edificio1.
Nella muratura di notano al rivestimento quà e là mattoni di argilla di dimensioni maggiori di quelli sopra citati, ma nessuno di essi porta una sigla. ecco cosa ne pensa lo studioso P. F. Russo (La Diocesi di Nicastro, pag. 38). Anche nel territorio di Maida, come nel resto della Piana, sono affiorati dei resti archeologici notevoli tra cui gli avanzi di un tempio pagano dedicato a Castore Polluce o a Giove in contrada Ellene.

Prato S. Irene
È questa un’altura sabbiosa che conserva i caratteri di un sistema di dune che si prolunga in gran parte in vari punti della Piana che dall’Angitola arriva quasi al basso fiume Lamato. Trovasi il Prato S. Irene a sud dell’antica Acconia.
A quanto asserisce il Fischer nella «Penisola Italiana» a pag. 3 e 35 e 36 è da supporre senza cadere in errori di fantasia che tali alture siano in dipendenza del bradisismo nonché dalle libecciate che infuriano in inverno in tutta la piana di S. Eufemia colpendo per primo il litorale sabbioso.
Se consultiamo la detta pubblicazione vediamo come la conformazione geografica del periodo terziario è tutt’altro che identica a quella del quaternario recente e quindi, stando a questo illustre geologo, dobbiamo accettare la teoria secondo cui il mare si estendeva fino alle pendici dell’attuale territorio di Curinga dove, dopo molti secoli, è sorta Acconia nuova. Sorgeva qui l’abitato delle «Torri», che finora nessuno ha potuto ubicare sia pure in ipotesi. In «Diocesi di Nicastro» P. F. Russo parla a pag. 65 di una «Statio ad Turres».
Nel «Prato Santirene» durante la coltivazione della terra sono stati ritrovati frammenti di sarcofagi in argilla di manifattura greca, che raccoglievano le spoglie dei Laconesi. Era questa la necropoli dell’antica città? È da supporlo.

Trivio
Di recente, in zona Trivio, ed esattamente sulla litoranea che dal ponte Randace porta alla strada statale 18, sulla sinistra, nella proprietà Sig. Giuseppe Greco, lavorando la terra con mezzi meccanici, è affiorato una grande quantità di avanzi di tombe con carattere greco o romano in uno spazio di alcune migliaia di metri quadrati. I ritrovamenti fanno supporre che trattasi di una necropoli: di quale città? Pensiamo che potesse appartenere alla cittadina «Le Torri» menzionata da parecchi scrittori; nei pressi di detti ritrovamenti passava la via Popilia ed è verosimile che una città di una certa importanza sorgesse su una via di grande comunicazione. Secondo le asserzioni di P. F. Russo «Torri» fu sede di Diocesi, ma in seguito alla distruzione della città da parte dei Saraceni nel IX secolo la diocesi stessa si trasferì a Nicastro, e dice ancora P. F. Russo a pag. 45: «La dominazione romana aprì delle strade a carattere militare e strategico di grande importanza coma la Popilia e la Traianea, lungo le quali sorsero le stazioni militari di grande valore; tali infatti erano le tappe segnate nell’itinerario di Antonio come la Statio ad «Sabatum Flumen nel territorio di Martorano e l’altra ad Turres in quello della Piana distanti tra loro 18 miglia» ed a pagina 60 «con la dominazione Bizantina compare una nuova Diocesi quasi a metà strada fra Tempsa e Vibona. Si tratta della Statio ad Turres, la quale dovette prendere un notevole incremento sì da divenire una cittadina capace di ospitare anche una sede vescovile». La sua esistenza è attestata nell’epistolario di S. Gregorio Magno per la fine del sec. VI, a pag. 64: «Vibona, Tempsa e Torri Latine di lingua e di rito greco nel sec. VIII».
Sempre per ipotesi dunque, stando a quanto menzionato, i ritrovamenti descritti possono essere appartenuti alla Statio ad Turres creata dai romani e sviluppatasi nei periodi successivi.
Dati i fenomeni naturali e cioè le formazioni di dune sabbiose a causa delle libecciate e gli allagamenti causati dai fiumi dall’Angitola all’Amato che inondavano la Piana rendendola un pelago, niente di più facile che i resti di quella che fu una cittadina, giacciano sepolti dallo strato alluvionale formatosi durante i secoli.

Torrazzo:
Esiste in zona «Mezzapraia» una torre circolare denominata Torrazzo la quale faceva parte di un sistema difensivo costruito lungo la costa tirrenica intorno al 1600 sotto Carlo V.
Riportiamo quanto il Sinopoli in «La Calabria» a pag. 77 dice: «Il Vicerè don Pietro di Toledo su consiglio di Fabrizio Pignatelli, ordinò la costruzione di un certo numero di torri costiere chiamate torrazzi, a forma di tronco di cono, parecchie delle quali furono edificate con materiale di demolizione ricavato da vicine costruzioni greco-romane e grossi tributi furono imposti alle popolazioni per tali costruzione».
La nostra torre presenta contigui i ruderi di altro fabbricato che si presume della medesima epoca. Si vede ancora una scalinata che evidentemente portava al piano superiore; da un esame fatto sul posto si è visto che per la costruzione è stato adoperato anche materiale ricavato da vecchi edifici.
Lo scopo di dette torri era l’avvistamento delle navi corsare che infestavano il nostro mare fino al 1820. In esse veniva mantenuta una guarnigione di uomini chiamati, «Cavallari», i quali, avvistate la navi in arrivo, saltavano a cavallo ed avvisavano del pericolo gli abitanti dei villaggi circonvicini e le truppe di stanza nell’entroterra onde si potessero organizzare le difese.
In cima a detta torre funzionava nell’801 il cosiddetto telegrafo ad asta che comunicava con l’analogo dispositivo di Monteleone e di Capo Suvero. Si vuole che in tempi remoti esistesse nei pressi altra torre denominata Torre Vecchia dalla quale prese il nome un bosco esistente nella zona circostante e distrutto nel 1900 dalla incuria e dalla pessima utilizzazione fatta da parte del Comune.

La Torre Vecchia
In Comune di Curinga di fronte al mare, dove fino al 1930 circa, esistè un grande bosco di elci, ora distrutto, esistono importanti ruderi di una grande torre rettangolare, costruzione in pietrame e malta comune.
È evidente che il materiale adoperato ha tutte le caratteristiche del materiale di recupero, proveniente da macerie locali; probabilmente da costruzioni arcaiche distrutte da terremoti o da eventi bellici. Al Nord esistono gli avanzi di una scala a gradini che porta al quasi distrutto secondo piano. Detta scala è stata costruita con pezzi irregolari di evidente recupero. Sull’ultimo gradino a sinistra, si notano alcune lettere incavate, di una scritta logorata ed illeggibile: IN PN PM: solo queste lettere sono leggibili.
Da notizie tramandate verbalmente, risulta che in quel posto esistè una torre costruita nel IX secolo avanti Cristo.
N. B. Per quante ricerche abbiamo fatto, non siamo riusciti ad avere migliori notizie al riguardo, nè sappiamo quale popolo si è insediato in quel posto prima dell’occupazione greca.

Fondaco Vecchio o del fico
In zona Eccellente, in territorio fra Curinga e Francavilla Angitola, esisteva fino al 1969 un vecchio maniero; rudere turrito ai due angoli occidentali sulla Via Popilia, di vastissime proporzioni.
Da ricerche fatte mi è risultato che fu Villa di Sica Vibonese, amico di Cicerone, dove questi veniva ospitato durante il passaggio nel recarsi a Vibo Valentia (Hipponio) ed in Sicilia. Questo maniero venne chiamato “La Capanna di Cicerone”.
Molti sono i reperti di tombe romane sparse in quelle vicinanze e nel territorio adiacente. (Vedi mia Pubblicazione “Itinerari Calabresi).
Durante la recente costruzione del doppio binario ferroviario, è stato selvaggiamente demolito, nonostante il mio interessamento presso le autorità competenti che disposero l’intervento di alcune personalità con a capo l’Assessore Anziano della Provincia, Professor Cesare Mulè, la Dott.ssa Zinzi ed il sottoscritto in qualità di Ispettore Onorario delle Antichità. Ma tutto fu vano e questo maestoso ed importante prezioso avanzo, venne cancellato dalla nostra Storia.

La Via Popilia
La Via Popilia, che da Cosenza sboccava alla marina di Nocera Terinese, dopo avere attraversato il Fiume Savuto, sul quale i romani costruirono un ponte in territorio dell’attuale Comune Marzi, seguiva il litorale. Attraverso la Piana di S. Eufemia, passava a qualche chilometro al disotto della Città di Acconia e proseguendo al disopra della Torre Vecchia, saliva avanti al Fondaco Vecchio o del Fico e proseguendo in pianura in zona Eccellente, fino alla riva destra del Fiume Angitola (già Tanno). Quindi per una passatoia su lastroni si pietra nei pressi del Monte Marello, dove oggi vi è il lago artificiale, saliva fino ai ruderi di Rocca Angitola, già centro abitato, di Crissa, fondato da Crisso Focese, il quale dopo la disfatta di Troia, approdò sulla nostra spiaggia presso la foce dell’Angitola.
Da Rocca Angitola, la Popilia saliva nei pressi dell’attuale Comune di S. Onofrio e arrivava in territorio di Hipponio, passando a poca distanza dalle attuali Mura Greche e per la zona Scrimbia, arrivava alla periferia della città, proseguendo per Mileto e Reggio.
Vestigia di insediamento etnico preistorico in zona “Quarto” di Curinga

Escursione maggio 1974

Vestigia di stanziamento preistorico forse dell’età neolitica nel territorio dell’antica Acconia - oggi Curinga.
Nella piana di Curinga (antica Acconia) al di sotto dell’uliveto Cutura, che trovasi ad Ovest della palude Imbutillo, esistono alcuni rilievi sabbiosi (già dune), appianate durante la messa in cultura. Questi rilievi formano la zona denominata Quarto, che si trova a circa cento metri dalla strada carraia detta dei francesi o di Posta, che ricalca l’antica via romana Popilia che prosegue per Eccellente.
A Nord della zona Quarto, trovasi la vasta zona Scarcio.
Nei rilievi sabbiosi Quarto, ed in tutto il territorio adiacente, affiorano giornalmente numerosi reperti fittili di epoca pre greca, greca e latina, fra i quali, molti di ossidiana, alcuni dei quali lavorati con motivi decorativi. Affiora anche qualche frammento di bucchero.
Questa quantità di reperti è di piccole dimensioni; ciò indica che durante la coltivazione della terra, manufatti in origine usati dalla popolazione ivi stanziata, vennero frantumati.
È bene tenere presente che le dette zone; Cutura, Imbutillo e Scarcio, fecero parte del territorio di Acconia.
È noto che lungo il percorso delle vie romane, vi erano dislocate le Stazioni militari. A proposito di ciò il Capialbi ammette che in territorio di Acconia è esistita la Stazione di carriagi romani “ad turres”.
Lo storiografo Padre Francesco Russo, in “Diocesi di Nicastro” segna fra Vibo e Cosenza diverse stazioni e fra queste “Statio ad turres” che fu sede vescovile, la cui esistenza è attestata da S. Gregorio Magno per la fine del VI e VII secolo. Sede Vescovile che in seguito alle scorrerie dei Saraceni venne trasferita a Nicastro.
Nell’itinerario di Antonino, figurano le seguenti distanze: dal fiume Sabato o Savuto a Turres, miglia 18 da Turres a Vibona miglia 21; il miglio romano è di m. 1484,589. Da Savuto a Turres abbiamo dunque miglia 18 equivalenti a km. 31 e m. 176.
Secondo lo sviluppo della Popilia, che noi conosciamo in gran parte, il calcolo ci porta a pensare che nella zona Quarto dovrebbe essere l’ubicazione dell’abitato Ad turres nel territorio di Acconia.
Dopo nostre approfondite riflessioni e dopo aver visitato attentamente tutto il territorio e dopo il ritrovamento in loco della quantità dei reperti già menzionati, è nostra convinzione che il centro abitato Ad Turres era ubicato sulla Popilia.
È nostro dovere segnalare che la nostra attenzione per tali ricerche è dovuta alla cortesia di informazione da parte della appassionata e colta insegnante Signora Daniele in Sestito, alla quale è affidata la Scuola Elementare della zona Quarto, dove con molto zelo si è attivata a fare una raccolta dei menzionati reperti che gentilmente ci ha concessi in visione e di cui abbiamo eseguiti i vari disegni allegati, nei quali è espresso il nostro giudizio sulla loro epoca di fabbricazione e di uso; si può pensare che la zona è stata abitata fin dalla prima età dei metalli e quindi nei periodi Greco e latino(vedi disegno in appendice).

Escursioni eseguite nel maggio 1974.

Acconia o Lacconia:
In un perimetro di diversi chilometri avente per centro il ponte della ferrovia sul Torrina, in una zona pianeggiante o quasi si estendeva Acconia detta da alcuni Lacconia che fu fiorente città ellenica.
Esistono ancora vestigia della sua grandezza e fra i ruderi sparsi primeggia quello che fu un tempio pagano dedicato a Castore e Polluce.
Il Barrio lo ricorda come «Castellano» a tre miglia del mare e a sei da Maida. Acconia ebbe a soffrire per le incursioni dei Longobardi alla fine del VI secolo e per quelle dei Saraceni nei secoli IX e X. Si riebbe sotto i Normanni; sparì definitivamente nel 1783. Non abbiamo sufficienti notizie che ci possono illuminare sulle precise origini e perciò riportiamo quelle forniteci da illustri scrittori.
P. F. Russo ne «La Diocesi di Nicastro» a pag. 50 testualmente dice: nel 1638 un tremendo terremoto atterrò quasi tutte le località della Piana tra cui l’Abbazia di S. Eufemia, Maida, Feroleto, Lacconia e Nicastro e a pag. 71 l’inondazione del fiume Amato nel 1766 fu gravissima per tutta la Piana ed in particolare modo per Lacconia che invasa dalle acque fu ridotta ad un arenario. Noi azzardiamo che P. F. Russo sia caduto in errore poiché l’Amato trovavasi ad un livello interiore dell’ubicazione di Acconia, ma piuttosto pensiamo che il fiume danneggiatore sia stato il Torrino che era alle sue spalle.
P. Russo continua: «Lacconia fu rasa la suolo dal terremoto del 1783 e non è più risorta, i suoi abitanti l’hanno abbandonata».
Per notizia tramandata da padre in figlio ci risulta che l’ultima abitante di Acconia si chiamava Elisabetta (detta donna Betta) che nonostante il terremoto non si è trasferita ed abitava nell’800 al Palazzo Ducale di cui ancora esistono i ruderi attaccati alla vecchia chiesa di S. Giovanni Battista.
Riportiamo altre notizie tramandateci da illustri scrittori: «Curinga ebbe villaggio Acconia o Lacconia che prima dell’occupazione militare apparteneva a Maida e da Feudo costituisce una ducea per lo primogenito di quel principe; Acconia era popolata da 130 famiglie nel 1532 e da 10 nel 1633, 237 individui nel 1793 e da 15 nel 1816; ma oggi è sprovvista di abitanti, quivi i nostri sovrani Angiò ebbero una villa». «Questo paese fu dato in feudo ai Sanfelici nel 1307 ma venne poi in assoluto dominio della Regina Sancia.
Era Sancia figlia naturale di Re Alfonso II che nel 1479 venne sposa a Goffredo Borgia dalle cui mani passò ad altri. era in pregio per la sua antica e ricca chiesa di S. Giovanni battista della quale nel secolo XV fu arciprete curato Pietro Sonnino dell’istesso luogo, poi vescovo di Cerenzia e Cariati ed indi di Nicastro».
Pietro Sannino da Majda trasferito quà (Nicastro) l’anno 1489 dalla Chiesa di Cariati. Visse poco, morto sul principio dell’anno seguente. Una tale chiesa è oggi vacante ed è governata da un economo che fa residenza a Curinga. Nel sito di Acconia si vedono i ruderi di altre due chiese, di grandi edifici, di un magnifico tempio ellenico di greca struttura, miseri avanzi di passate grandezze.
Dopo queste notizie aggiungo per mia personale conoscenza (siamo nel 1962) che alcuni anni fa essendomi recato in territorio di Acconia, oggi frazione di Curinga che conta circa 800 abitanti, ho constatato che in zona Prato S. Irene dove tutt’ora esiste la chiesetta di S. Giovanni battista, in un angolo di detta Chiesina vi era una campana lesionata e quindi non in uso con la seguente scritta: “IEI DIVO PRAECURSORI DA 10 ANNES BAPT FERRARO NEOCAS A ARCHIPR A ACONIAE A DICAT OPTUS MAGISTERI I TIEI IONYMI CONTI ANNO DOMINI 1657 A”.
È evidente che nel 1657 era arciprete un Ferraro.
Detta chiesa riattata nel 1944 è stata a memoria d’uomo aperta al culto curata da un arciprete, ultimo dei quali Don Domenico Bianca da Curinga, uomo generoso il quale aveva una dimora in una casetta vicino la chiesa. Il Bianca in precedenza era stato Cappellano Maggiore, Canonico e Parroco della Cattedrale di Nicastro. È morto, compianto da tutto il popolo, il 1954.
In contrada S. Giovanni, a monte del «Barco vecchio» oggi proprietà Stillitani a cultura uliveto, esistono i ruderi dell’antica e più splendida chiesa di S. Giovanni Battista (di cui fanno mensione l’Unghetti, il fiore ed il Mannato) vedi pagg. precedenti. È una costruzione ad una navata con finestre ogivali. si notano alle pareti tracce di affreschi non identificabili trattati a tricomia primitiva su intonaco corroso dal tempo. Non esiste campanile, pila o altare1.
A circa cento metri da detti ruderi vi è il greto del Torrente Torrina. Attigui ai ruderi esistono quelli dell’antico palazzo ducale degli Angiò il quale è provvisto di una torre quadrata che veniva adibita a prigione. Nel cortile del palazzo giacciono abbandonate quattro colonne monolotiche di marmo verde di Calabria. Facevano parte della Chiesa o del Tempio pagano Ellene che dista in linea d’aria alcune centinaia di metri?
Dal libro di Giuseppe Barone edito a Firenze. Tipi Emilio Ladi 1942 pag. 246 riportiamo: “Nel casale di Lacconia esisteva nel 1820 la cappella di Bianca Foca dove ardeva in quell’epoca una lampada votiva alla Vergine ed un’altra alla memoria del Duca Nicola dove erano le tombe dei familiari di tal Nindo, agente dei Principi Ruffo”.
E noi aggiungemmo: “Detto Nindo era nipote del curato di Acconia il quale nel 1780 per incarico della Duchessa Ippolita Ruffo, trasformò la grande prateria di Campolongo in uliveto. Il versante a Nord di Campolongo che limita con l’attuale strada provinciale che porta allo Scalo si S. Pietro a Maida fu trasformato in uliveto verso il 1890 da un fattore, tal Genise. Detto nuovo uliveto venne chiamato Pianta Nuova, nome che conserva ancora. Don Vincenzo Ruffo di Calabria dei Duchi di Bagnara, Duca di Baranello, fu Signore di Curinga e di Acconia il 21 aprile 1796 e a tale data nominava Governatore dei propri vassalli col titolo di Capitano il Signor Domenico Ciliberti. Detta nomina risulta da una pergamena in possesso del sig. Giuseppe Ciliberti fu Gaspare.
Verso il 1820 Lacconia viene classificata Casale dello Stato di Maida, appartenente al Duca Francesco Ruffo di Bagnara nato nel 1799. I comuni in quell’epoca venivano chiamati «Università». I 120 capi feudali, cespiti di rendita baronale, esistenti in tutto lo Stato di Maida furono acquistati il 12 dicembre 1691 da Don Fabrizio Ruffo il vecchio per 157,520 ducati (ogni ducato valeva L. 4.25).
Campolongo superava di poco in quell’epoca le 300 èttare di superficie con 30.000 piante di ulivo.
Nicola Ruffo (1742-1749) figlio secondogenito di Francesco, figlio di Carlo Duca di Baranello, nel 1772 sposò la quattordicenne Ippolita (1758-1830) figlia primogenita del primogenito il quale non ebbe prole maschile.
Nicola Ruffo fu colpito da apoplessia. Dopo il terremoto affidò il governo del suo Stato alla giovane consorte, donna di alto intelletto. Egli visse ancora undici anni seduto su di una poltrona. Dopo la morte di Nicola Ruffo la vedova donò con atto 18 marzo 1795 tutti i suoi titoli a Don Vincenzo Ruffo di Baranello, capo di ramo secondogenito dei Bagnara.
S. Nicola di Laconia era un cenobio maschile il quale nel 1324 era già in rovina.
La parrocchia di Acconia fu eretta nel XV secolo e contava 500 abitanti. Ecco quanto ci dice P. F. Russo ne «La Diocesi di Nicastro» a pag. 244: “Fu il 36° Vescovo di Nicastro Pietro Sonnino 1489 - 1490. Non di Maida come scrivono il Fiore ed il Taccone Gallucci, ma di Lacconia, dove nacque intorno al 1440. Era arciprete della sua città quando il 22 ottobre del 1487 da Sisto IV fu nominato Vescovo di Cerenzia e Cariati, da dove fu trasferito a Nicastro con bolla del 26 gennaio 1489 (140). L’8 ottobre versò i soliti cento fiorini alla Camera Apostolica (141). Morì dopo un solo anno di governo”.
Elia Samato lo ricorda con ammirazione: Plenus meritis et doctrinis abiit mundo, fama non abiturno. Il Parisi afferma che in quell’anno di governo operò molto in favore della sua città natale (142).