S.
Giovanni in Contrada Pilli
Scavando il tracciato per la strada Comunale che partendo
dalla provinciale dal Piano delle Aie si ricongiunge con la
strada di campagna che dal rione Addolorata va verso la
contrada Nucari (1942) all’incrocio di detta strada di
campagna è stato scoperto dallo scrivente un pezzo di
pavimento costruito col sistema antico di «Calce battuta»
volgarmente detto «astraco» (etimo greco) il quale (secondo
le osservazioni di alcuni vecchi) faceva parte della piccola
Chiesa di S. Giovanni Battista, demolita dal terremoto del
1783. Durante gli scavi per la livellazione, sono affiorati
frammenti di resti umani nonché ossi di bestie frammisti a
calcinacci, pezzi di mattoni e tegole.
Secondo le notizie assunte dai vecchi del luogo pare che i
loro antenati abbiano tramandato le notizie secondo le quali
le prime case di Curinga, in seguito all’esodo dei Lacconesi,
siano sorte in quella zona abbandonata poi in seguito al
terremoto e per la difficile viabilità, dal momento che il
terreno era, com’è attualmente, di natura argillosa e ricco
di bolo. Sicché preferirono edificare nel pendio che
l’attuale Chiesa dell’Addolorata va in giù.
Evidentemente la chiesetta di cui ci siamo interessati
apparteneva al primo nucleo abitato; è bene ricordare che
nel 1769 era sotto la cura di Giuseppe Messina.
Rione Ospizio:
In questo rione chiamato anticamente Gallicinò (etimo greco
= zona abbattuta dai venti), esisteva in epoca imprecisata,
la dimora dei Fratelli Questuanti francescani, i quali
ospitavano i bisognosi. Non si sa se i ruderi esistenti nei
pressi della fontana Trecanali appartennero a questa dimora.
Calvrici (Biancospino):
Nel 1310 in zona Calvrici, territorio di Curinga che limita
con quello di Francavilla, in collina esisteva un convento
Basiliano assistito dal religioso Costantino, Faceva parte
della Comunità di Curinga. Forse esiste qualche rudere
interrato.
Antica Chiesa di S. Giovanni di Acconia:
Attaccate ai ruderi del Palazzo ducale di Acconia, esistono
le mura dell’antica Chiesa di S. Giovanni Battista, della
quale fu arciprete Curato Pietro Sonnino, poi vescovo di
Cerenzia e Cariati ed indi di Nicastro, dove morì.
Costruzione ad una navata con finestre ogivali. Si notano
nel 1962 alle pareti, tracce di affreschi non
identificabili, trattati a tricomia primitiva, su intonaco
corroso dal tempo. A tale data non esiste campanile, nè
pila, nè altare.
Mulini a forza idraulica:
Alla falda sinistra del rione Ospizio tra il burrone arrenna
di Curinga, esistono i ruderi di una serie di mulini, i
quali azionati da acqua proveniente dalla montagna e che
attraversava il piano delle Aie. Alcuni di questi ruderi si
vedono anche nei pressi della fontana Trecanali. L’acqua non
venne più convogliata dopo dell’800, epoca in cui alimentava
in testa un oleificio a forza idraulica del quale esistono
ancora i ruderi della sentina, appartenenti alla famiglia
Cesareo.
Cunicolo sotterraneo al rione S. Rocco:
Nel luglio del 1965, al di sopra del rione S. Rocco di
Curinga, durante lo scavo per la fondazione di una casa,
venne alla luce l’entrata di un cunicolo (piccola galleria)
alto m. l. 60 e largo m. 0,60. A suo tempo fu scavato in
arenario molto compatto in direzione Nord. L’ho percorso con
una lampada, per oltre centro metri. Non ho proseguito
perché era interrotto da piccole frane.
Alle pareti ed alla volta ho notato solo i colpi a striscio
degli utensili di lavoro adoperati. Non vi è segno di
muratura.
Alle pareti esiste di quando in quando, un incavo che poteva
servire per poggiare una lucerna durante il lavoro.
Resta enigmatico lo scopo di questa specie di galleria:
poteva servire come camminamento per sfuggire alle
persecuzioni saracene?
Palazzotto:
Nell’abitato di Curinga, in Piazza Garibaldi, già Piano di
Palazzo, esisteva fino al 1910 un rudere di antico
fabbricato di età medievale, rovinato in seguito a terremoto
di data imprecisata. Apparteneva al Duca. Nei magazzini
venivano depositate le derrate provenienti dai terreni
ducali di Acconia.
Veniva chiamato il palazzotto perché di modeste proporzioni.
Dopo il terremoto del 1908, venne costruita in detto locale,
una chiesa in legno chiusa ai Sacri Uffici per paura di
nuove scosse telluriche, nella quale si ufficiò per alcuni
anni.
Dopo la demolizione della chiesa in legno, sul medesimo
posto, sorsero abitazioni civili che vi sono tuttora.
Sul frontespizio del Palazzotto, ad Ovest, vi era intatto un
portale in pietra da taglio di stile Barocco, che venne
acquistato dal Cavalier Sebastiano Perugino, maggiore dei
Reali Carabinieri in pensione, che lo utilizzò per
l’ingresso della sua casa.
Palazzo Ducale in Acconia:
Esistono in zona S. Giovanni di Acconia, sulla strada
carraia che dalla Provinciale che conduce alla Stazione
Ferroviaria di Curinga, porta al greto del torrente Turrina,
i ruderi dell’antico palazzo Ducale; costruzione Barocca con
grande portale in granito a bugne (bugnato a punta di
diamante).
Sulla facciata principale ad Ovest vi sono ancora le mura di
una alta torretta che veniva adibita a prigione temporanea
per i tipi sospetti durante la permanenza in quel palazzo
dei componenti la famiglia del Duca.
Detto palazzo appartenne alla Regina Sancia, la quale era
figlia naturale di Re Alfonso II, e nel 1494 venne sposa a
Goffredo Borgia.
La regina Sancia ebbe col palazzo Ducale di Acconia, il
Feudo di Maida da Re Roberto; la regina a sua volta lo donò
a Goffredo Marzano il 16 settembre 1331.
Il palazzo stesso con annessa villa fu anche proprietà dei
Sovrani Angiò.
Nel cortile del palazzo esistevano fino al 1964 quattro
colonne di granito in stato di abbandono. I Cefaly di
Cortale li fecero trasportare in quell’anno nel cortile
della loro villa nei pressi della Stazione Ferroviaria di
Curinga. Durante il trasporto, due si sono rotte ed ora ivi
giacciono, sempre in stato di abbandono. In questa stessa
villa esiste, anch’esso abbandonato, un mulino romano di
lava vulcanica.
Ellene
Nel vecchio alveo del Torrente Torrina esistono dei ruderi
denominati volgarmente «Mura di Elleni». Parte di detti
ruderi affiorano al piano terra attuale, mentre altri
contigui si elevano fino all’altezza di quasi quattro metri,
ma per mano di vandali, perché incustoditi, vanno sempre
scomparendo nonostante le premure fatte dallo scrivente agli
organi competenti.
La costituzione della muratura di detti avanzi, è in gran
parte a sacco con ciottoloni di fiume, pezzi di mattone,
malta ordinaria, nonché rivestimento in mattoni di argilla
dalle dimensioni di cm. 15x4. La muratura in elevazione è in
gran parte a mattoni di evidente carattere romano.
Sono in evidenza alcune nicchie, e addossati alle pareti,
esistono “tuboli” di argilla rotondi e piatti. Sono le
condutture delle acque calde e dei vapori al calidarium.
È evidente che sotto lo strato di terra alluvionale esiste
per lo meno un altro piano dell’edificio1.
Nella muratura di notano al rivestimento quà e là mattoni di
argilla di dimensioni maggiori di quelli sopra citati, ma
nessuno di essi porta una sigla. ecco cosa ne pensa lo
studioso P. F. Russo (La Diocesi di Nicastro, pag. 38).
Anche nel territorio di Maida, come nel resto della Piana,
sono affiorati dei resti archeologici notevoli tra cui gli
avanzi di un tempio pagano dedicato a Castore Polluce o a
Giove in contrada Ellene.
Prato S. Irene
È questa un’altura sabbiosa che conserva i caratteri di un
sistema di dune che si prolunga in gran parte in vari punti
della Piana che dall’Angitola arriva quasi al basso fiume
Lamato. Trovasi il Prato S. Irene a sud dell’antica Acconia.
A quanto asserisce il Fischer nella «Penisola Italiana» a
pag. 3 e 35 e 36 è da supporre senza cadere in errori di
fantasia che tali alture siano in dipendenza del bradisismo
nonché dalle libecciate che infuriano in inverno in tutta la
piana di S. Eufemia colpendo per primo il litorale sabbioso.
Se consultiamo la detta pubblicazione vediamo come la
conformazione geografica del periodo terziario è tutt’altro
che identica a quella del quaternario recente e quindi,
stando a questo illustre geologo, dobbiamo accettare la
teoria secondo cui il mare si estendeva fino alle pendici
dell’attuale territorio di Curinga dove, dopo molti secoli,
è sorta Acconia nuova. Sorgeva qui l’abitato delle «Torri»,
che finora nessuno ha potuto ubicare sia pure in ipotesi. In
«Diocesi di Nicastro» P. F. Russo parla a pag. 65 di una «Statio
ad Turres».
Nel «Prato Santirene» durante la coltivazione della terra
sono stati ritrovati frammenti di sarcofagi in argilla di
manifattura greca, che raccoglievano le spoglie dei Laconesi.
Era questa la necropoli dell’antica città? È da supporlo.
Trivio
Di recente, in zona Trivio, ed esattamente sulla litoranea
che dal ponte Randace porta alla strada statale 18, sulla
sinistra, nella proprietà Sig. Giuseppe Greco, lavorando la
terra con mezzi meccanici, è affiorato una grande quantità
di avanzi di tombe con carattere greco o romano in uno
spazio di alcune migliaia di metri quadrati. I ritrovamenti
fanno supporre che trattasi di una necropoli: di quale
città? Pensiamo che potesse appartenere alla cittadina «Le
Torri» menzionata da parecchi scrittori; nei pressi di detti
ritrovamenti passava la via Popilia ed è verosimile che una
città di una certa importanza sorgesse su una via di grande
comunicazione. Secondo le asserzioni di P. F. Russo «Torri»
fu sede di Diocesi, ma in seguito alla distruzione della
città da parte dei Saraceni nel IX secolo la diocesi stessa
si trasferì a Nicastro, e dice ancora P. F. Russo a pag. 45:
«La dominazione romana aprì delle strade a carattere
militare e strategico di grande importanza coma la Popilia e
la Traianea, lungo le quali sorsero le stazioni militari di
grande valore; tali infatti erano le tappe segnate
nell’itinerario di Antonio come la Statio ad «Sabatum Flumen
nel territorio di Martorano e l’altra ad Turres in quello
della Piana distanti tra loro 18 miglia» ed a pagina 60 «con
la dominazione Bizantina compare una nuova Diocesi quasi a
metà strada fra Tempsa e Vibona. Si tratta della Statio ad
Turres, la quale dovette prendere un notevole incremento sì
da divenire una cittadina capace di ospitare anche una sede
vescovile». La sua esistenza è attestata nell’epistolario di
S. Gregorio Magno per la fine del sec. VI, a pag. 64: «Vibona,
Tempsa e Torri Latine di lingua e di rito greco nel sec.
VIII».
Sempre per ipotesi dunque, stando a quanto menzionato, i
ritrovamenti descritti possono essere appartenuti alla
Statio ad Turres creata dai romani e sviluppatasi nei
periodi successivi.
Dati i fenomeni naturali e cioè le formazioni di dune
sabbiose a causa delle libecciate e gli allagamenti causati
dai fiumi dall’Angitola all’Amato che inondavano la Piana
rendendola un pelago, niente di più facile che i resti di
quella che fu una cittadina, giacciano sepolti dallo strato
alluvionale formatosi durante i secoli.
Torrazzo:
Esiste in zona «Mezzapraia» una torre circolare denominata
Torrazzo la quale faceva parte di un sistema difensivo
costruito lungo la costa tirrenica intorno al 1600 sotto
Carlo V.
Riportiamo quanto il Sinopoli in «La Calabria» a pag. 77
dice: «Il Vicerè don Pietro di Toledo su consiglio di
Fabrizio Pignatelli, ordinò la costruzione di un certo
numero di torri costiere chiamate torrazzi, a forma di
tronco di cono, parecchie delle quali furono edificate con
materiale di demolizione ricavato da vicine costruzioni
greco-romane e grossi tributi furono imposti alle
popolazioni per tali costruzione».
La nostra torre presenta contigui i ruderi di altro
fabbricato che si presume della medesima epoca. Si vede
ancora una scalinata che evidentemente portava al piano
superiore; da un esame fatto sul posto si è visto che per la
costruzione è stato adoperato anche materiale ricavato da
vecchi edifici.
Lo scopo di dette torri era l’avvistamento delle navi
corsare che infestavano il nostro mare fino al 1820. In esse
veniva mantenuta una guarnigione di uomini chiamati, «Cavallari»,
i quali, avvistate la navi in arrivo, saltavano a cavallo ed
avvisavano del pericolo gli abitanti dei villaggi
circonvicini e le truppe di stanza nell’entroterra onde si
potessero organizzare le difese.
In cima a detta torre funzionava nell’801 il cosiddetto
telegrafo ad asta che comunicava con l’analogo dispositivo
di Monteleone e di Capo Suvero. Si vuole che in tempi remoti
esistesse nei pressi altra torre denominata Torre Vecchia
dalla quale prese il nome un bosco esistente nella zona
circostante e distrutto nel 1900 dalla incuria e dalla
pessima utilizzazione fatta da parte del Comune.
La Torre Vecchia
In Comune di Curinga di fronte al mare, dove fino al 1930
circa, esistè un grande bosco di elci, ora distrutto,
esistono importanti ruderi di una grande torre rettangolare,
costruzione in pietrame e malta comune.
È evidente che il materiale adoperato ha tutte le
caratteristiche del materiale di recupero, proveniente da
macerie locali; probabilmente da costruzioni arcaiche
distrutte da terremoti o da eventi bellici. Al Nord esistono
gli avanzi di una scala a gradini che porta al quasi
distrutto secondo piano. Detta scala è stata costruita con
pezzi irregolari di evidente recupero. Sull’ultimo gradino a
sinistra, si notano alcune lettere incavate, di una scritta
logorata ed illeggibile: IN PN PM: solo queste lettere sono
leggibili.
Da notizie tramandate verbalmente, risulta che in quel posto
esistè una torre costruita nel IX secolo avanti Cristo.
N. B. Per quante ricerche abbiamo fatto, non siamo riusciti
ad avere migliori notizie al riguardo, nè sappiamo quale
popolo si è insediato in quel posto prima dell’occupazione
greca.
Fondaco Vecchio o del fico
In zona Eccellente, in territorio fra Curinga e Francavilla
Angitola, esisteva fino al 1969 un vecchio maniero; rudere
turrito ai due angoli occidentali sulla Via Popilia, di
vastissime proporzioni.
Da ricerche fatte mi è risultato che fu Villa di Sica
Vibonese, amico di Cicerone, dove questi veniva ospitato
durante il passaggio nel recarsi a Vibo Valentia (Hipponio)
ed in Sicilia. Questo maniero venne chiamato “La Capanna di
Cicerone”.
Molti sono i reperti di tombe romane sparse in quelle
vicinanze e nel territorio adiacente. (Vedi mia
Pubblicazione “Itinerari Calabresi).
Durante la recente costruzione del doppio binario
ferroviario, è stato selvaggiamente demolito, nonostante il
mio interessamento presso le autorità competenti che
disposero l’intervento di alcune personalità con a capo
l’Assessore Anziano della Provincia, Professor Cesare Mulè,
la Dott.ssa Zinzi ed il sottoscritto in qualità di Ispettore
Onorario delle Antichità. Ma tutto fu vano e questo maestoso
ed importante prezioso avanzo, venne cancellato dalla nostra
Storia.
La Via Popilia
La Via Popilia, che da Cosenza sboccava alla marina di
Nocera Terinese, dopo avere attraversato il Fiume Savuto,
sul quale i romani costruirono un ponte in territorio
dell’attuale Comune Marzi, seguiva il litorale. Attraverso
la Piana di S. Eufemia, passava a qualche chilometro al
disotto della Città di Acconia e proseguendo al disopra
della Torre Vecchia, saliva avanti al Fondaco Vecchio o del
Fico e proseguendo in pianura in zona Eccellente, fino alla
riva destra del Fiume Angitola (già Tanno). Quindi per una
passatoia su lastroni si pietra nei pressi del Monte
Marello, dove oggi vi è il lago artificiale, saliva fino ai
ruderi di Rocca Angitola, già centro abitato, di Crissa,
fondato da Crisso Focese, il quale dopo la disfatta di
Troia, approdò sulla nostra spiaggia presso la foce dell’Angitola.
Da Rocca Angitola, la Popilia saliva nei pressi dell’attuale
Comune di S. Onofrio e arrivava in territorio di Hipponio,
passando a poca distanza dalle attuali Mura Greche e per la
zona Scrimbia, arrivava alla periferia della città,
proseguendo per Mileto e Reggio.
Vestigia di insediamento etnico preistorico in zona “Quarto”
di Curinga
Escursione maggio 1974
Vestigia di stanziamento preistorico forse dell’età
neolitica nel territorio dell’antica Acconia - oggi Curinga.
Nella piana di Curinga (antica Acconia) al di sotto
dell’uliveto Cutura, che trovasi ad Ovest della palude
Imbutillo, esistono alcuni rilievi sabbiosi (già dune),
appianate durante la messa in cultura. Questi rilievi
formano la zona denominata Quarto, che si trova a circa
cento metri dalla strada carraia detta dei francesi o di
Posta, che ricalca l’antica via romana Popilia che prosegue
per Eccellente.
A Nord della zona Quarto, trovasi la vasta zona Scarcio.
Nei rilievi sabbiosi Quarto, ed in tutto il territorio
adiacente, affiorano giornalmente numerosi reperti fittili
di epoca pre greca, greca e latina, fra i quali, molti di
ossidiana, alcuni dei quali lavorati con motivi decorativi.
Affiora anche qualche frammento di bucchero.
Questa quantità di reperti è di piccole dimensioni; ciò
indica che durante la coltivazione della terra, manufatti in
origine usati dalla popolazione ivi stanziata, vennero
frantumati.
È bene tenere presente che le dette zone; Cutura, Imbutillo
e Scarcio, fecero parte del territorio di Acconia.
È noto che lungo il percorso delle vie romane, vi erano
dislocate le Stazioni militari. A proposito di ciò il
Capialbi ammette che in territorio di Acconia è esistita la
Stazione di carriagi romani “ad turres”.
Lo storiografo Padre Francesco Russo, in “Diocesi di
Nicastro” segna fra Vibo e Cosenza diverse stazioni e fra
queste “Statio ad turres” che fu sede vescovile, la cui
esistenza è attestata da S. Gregorio Magno per la fine del
VI e VII secolo. Sede Vescovile che in seguito alle
scorrerie dei Saraceni venne trasferita a Nicastro.
Nell’itinerario di Antonino, figurano le seguenti distanze:
dal fiume Sabato o Savuto a Turres, miglia 18 da Turres a
Vibona miglia 21; il miglio romano è di m. 1484,589. Da
Savuto a Turres abbiamo dunque miglia 18 equivalenti a km.
31 e m. 176.
Secondo lo sviluppo della Popilia, che noi conosciamo in
gran parte, il calcolo ci porta a pensare che nella zona
Quarto dovrebbe essere l’ubicazione dell’abitato Ad turres
nel territorio di Acconia.
Dopo nostre approfondite riflessioni e dopo aver visitato
attentamente tutto il territorio e dopo il ritrovamento in
loco della quantità dei reperti già menzionati, è nostra
convinzione che il centro abitato Ad Turres era ubicato
sulla Popilia.
È nostro dovere segnalare che la nostra attenzione per tali
ricerche è dovuta alla cortesia di informazione da parte
della appassionata e colta insegnante Signora Daniele in
Sestito, alla quale è affidata la Scuola Elementare della
zona Quarto, dove con molto zelo si è attivata a fare una
raccolta dei menzionati reperti che gentilmente ci ha
concessi in visione e di cui abbiamo eseguiti i vari disegni
allegati, nei quali è espresso il nostro giudizio sulla loro
epoca di fabbricazione e di uso; si può pensare che la zona
è stata abitata fin dalla prima età dei metalli e quindi nei
periodi Greco e latino(vedi disegno in appendice).
Escursioni eseguite nel maggio 1974.
Acconia o Lacconia:
In un perimetro di diversi chilometri avente per centro il
ponte della ferrovia sul Torrina, in una zona pianeggiante o
quasi si estendeva Acconia detta da alcuni Lacconia che fu
fiorente città ellenica.
Esistono ancora vestigia della sua grandezza e fra i ruderi
sparsi primeggia quello che fu un tempio pagano dedicato a
Castore e Polluce.
Il Barrio lo ricorda come «Castellano» a tre miglia del mare
e a sei da Maida. Acconia ebbe a soffrire per le incursioni
dei Longobardi alla fine del VI secolo e per quelle dei
Saraceni nei secoli IX e X. Si riebbe sotto i Normanni;
sparì definitivamente nel 1783. Non abbiamo sufficienti
notizie che ci possono illuminare sulle precise origini e
perciò riportiamo quelle forniteci da illustri scrittori.
P. F. Russo ne «La Diocesi di Nicastro» a pag. 50
testualmente dice: nel 1638 un tremendo terremoto atterrò
quasi tutte le località della Piana tra cui l’Abbazia di S.
Eufemia, Maida, Feroleto, Lacconia e Nicastro e a pag. 71
l’inondazione del fiume Amato nel 1766 fu gravissima per
tutta la Piana ed in particolare modo per Lacconia che
invasa dalle acque fu ridotta ad un arenario. Noi azzardiamo
che P. F. Russo sia caduto in errore poiché l’Amato
trovavasi ad un livello interiore dell’ubicazione di
Acconia, ma piuttosto pensiamo che il fiume danneggiatore
sia stato il Torrino che era alle sue spalle.
P. Russo continua: «Lacconia fu rasa la suolo dal terremoto
del 1783 e non è più risorta, i suoi abitanti l’hanno
abbandonata».
Per notizia tramandata da padre in figlio ci risulta che
l’ultima abitante di Acconia si chiamava Elisabetta (detta
donna Betta) che nonostante il terremoto non si è trasferita
ed abitava nell’800 al Palazzo Ducale di cui ancora esistono
i ruderi attaccati alla vecchia chiesa di S. Giovanni
Battista.
Riportiamo altre notizie tramandateci da illustri scrittori:
«Curinga ebbe villaggio Acconia o Lacconia che prima
dell’occupazione militare apparteneva a Maida e da Feudo
costituisce una ducea per lo primogenito di quel principe;
Acconia era popolata da 130 famiglie nel 1532 e da 10 nel
1633, 237 individui nel 1793 e da 15 nel 1816; ma oggi è
sprovvista di abitanti, quivi i nostri sovrani Angiò ebbero
una villa». «Questo paese fu dato in feudo ai Sanfelici nel
1307 ma venne poi in assoluto dominio della Regina Sancia.
Era Sancia figlia naturale di Re Alfonso II che nel 1479
venne sposa a Goffredo Borgia dalle cui mani passò ad altri.
era in pregio per la sua antica e ricca chiesa di S.
Giovanni battista della quale nel secolo XV fu arciprete
curato Pietro Sonnino dell’istesso luogo, poi vescovo di
Cerenzia e Cariati ed indi di Nicastro».
Pietro Sannino da Majda trasferito quà (Nicastro) l’anno
1489 dalla Chiesa di Cariati. Visse poco, morto sul
principio dell’anno seguente. Una tale chiesa è oggi vacante
ed è governata da un economo che fa residenza a Curinga. Nel
sito di Acconia si vedono i ruderi di altre due chiese, di
grandi edifici, di un magnifico tempio ellenico di greca
struttura, miseri avanzi di passate grandezze.
Dopo queste notizie aggiungo per mia personale conoscenza
(siamo nel 1962) che alcuni anni fa essendomi recato in
territorio di Acconia, oggi frazione di Curinga che conta
circa 800 abitanti, ho constatato che in zona Prato S. Irene
dove tutt’ora esiste la chiesetta di S. Giovanni battista,
in un angolo di detta Chiesina vi era una campana lesionata
e quindi non in uso con la seguente scritta: “IEI DIVO
PRAECURSORI DA 10 ANNES BAPT FERRARO NEOCAS A ARCHIPR A
ACONIAE A DICAT OPTUS MAGISTERI I TIEI IONYMI CONTI ANNO
DOMINI 1657 A”.
È evidente che nel 1657 era arciprete un Ferraro.
Detta chiesa riattata nel 1944 è stata a memoria d’uomo
aperta al culto curata da un arciprete, ultimo dei quali Don
Domenico Bianca da Curinga, uomo generoso il quale aveva una
dimora in una casetta vicino la chiesa. Il Bianca in
precedenza era stato Cappellano Maggiore, Canonico e Parroco
della Cattedrale di Nicastro. È morto, compianto da tutto il
popolo, il 1954.
In contrada S. Giovanni, a monte del «Barco vecchio» oggi
proprietà Stillitani a cultura uliveto, esistono i ruderi
dell’antica e più splendida chiesa di S. Giovanni Battista
(di cui fanno mensione l’Unghetti, il fiore ed il Mannato)
vedi pagg. precedenti. È una costruzione ad una navata con
finestre ogivali. si notano alle pareti tracce di affreschi
non identificabili trattati a tricomia primitiva su intonaco
corroso dal tempo. Non esiste campanile, pila o altare1.
A circa cento metri da detti ruderi vi è il greto del
Torrente Torrina. Attigui ai ruderi esistono quelli
dell’antico palazzo ducale degli Angiò il quale è provvisto
di una torre quadrata che veniva adibita a prigione. Nel
cortile del palazzo giacciono abbandonate quattro colonne
monolotiche di marmo verde di Calabria. Facevano parte della
Chiesa o del Tempio pagano Ellene che dista in linea d’aria
alcune centinaia di metri?
Dal libro di Giuseppe Barone edito a Firenze. Tipi Emilio
Ladi 1942 pag. 246 riportiamo: “Nel casale di Lacconia
esisteva nel 1820 la cappella di Bianca Foca dove ardeva in
quell’epoca una lampada votiva alla Vergine ed un’altra alla
memoria del Duca Nicola dove erano le tombe dei familiari di
tal Nindo, agente dei Principi Ruffo”.
E noi aggiungemmo: “Detto Nindo era nipote del curato di
Acconia il quale nel 1780 per incarico della Duchessa
Ippolita Ruffo, trasformò la grande prateria di Campolongo
in uliveto. Il versante a Nord di Campolongo che limita con
l’attuale strada provinciale che porta allo Scalo si S.
Pietro a Maida fu trasformato in uliveto verso il 1890 da un
fattore, tal Genise. Detto nuovo uliveto venne chiamato
Pianta Nuova, nome che conserva ancora. Don Vincenzo Ruffo
di Calabria dei Duchi di Bagnara, Duca di Baranello, fu
Signore di Curinga e di Acconia il 21 aprile 1796 e a tale
data nominava Governatore dei propri vassalli col titolo di
Capitano il Signor Domenico Ciliberti. Detta nomina risulta
da una pergamena in possesso del sig. Giuseppe Ciliberti fu
Gaspare.
Verso il 1820 Lacconia viene classificata Casale dello Stato
di Maida, appartenente al Duca Francesco Ruffo di Bagnara
nato nel 1799. I comuni in quell’epoca venivano chiamati
«Università». I 120 capi feudali, cespiti di rendita
baronale, esistenti in tutto lo Stato di Maida furono
acquistati il 12 dicembre 1691 da Don Fabrizio Ruffo il
vecchio per 157,520 ducati (ogni ducato valeva L. 4.25).
Campolongo superava di poco in quell’epoca le 300 èttare di
superficie con 30.000 piante di ulivo.
Nicola Ruffo (1742-1749) figlio secondogenito di Francesco,
figlio di Carlo Duca di Baranello, nel 1772 sposò la
quattordicenne Ippolita (1758-1830) figlia primogenita del
primogenito il quale non ebbe prole maschile.
Nicola Ruffo fu colpito da apoplessia. Dopo il terremoto
affidò il governo del suo Stato alla giovane consorte, donna
di alto intelletto. Egli visse ancora undici anni seduto su
di una poltrona. Dopo la morte di Nicola Ruffo la vedova
donò con atto 18 marzo 1795 tutti i suoi titoli a Don
Vincenzo Ruffo di Baranello, capo di ramo secondogenito dei
Bagnara.
S. Nicola di Laconia era un cenobio maschile il quale nel
1324 era già in rovina.
La parrocchia di Acconia fu eretta nel XV secolo e contava
500 abitanti. Ecco quanto ci dice P. F. Russo ne «La Diocesi
di Nicastro» a pag. 244: “Fu il 36° Vescovo di Nicastro
Pietro Sonnino 1489 - 1490. Non di Maida come scrivono il
Fiore ed il Taccone Gallucci, ma di Lacconia, dove nacque
intorno al 1440. Era arciprete della sua città quando il 22
ottobre del 1487 da Sisto IV fu nominato Vescovo di Cerenzia
e Cariati, da dove fu trasferito a Nicastro con bolla del 26
gennaio 1489 (140). L’8 ottobre versò i soliti cento fiorini
alla Camera Apostolica (141). Morì dopo un solo anno di
governo”.
Elia Samato lo ricorda con ammirazione: Plenus meritis et
doctrinis abiit mundo, fama non abiturno. Il Parisi afferma
che in quell’anno di governo operò molto in favore della sua
città natale (142). |