Tra storia e leggenda.
La fiera dell'Immacolata,
come nasce e perchè; due articoli di:
Cesare Natale Cesareo e Giuseppe Calvieri
Curinga, 15
ottobre
2021
Terza Domenica di Ottobre.Fiera dell’ Immacolata: Tempo di
Bettole e Ferari
Di Cesare Natale Cesareo
Le nostre considerazioni non vogliono essere storia, ma il
rispondere ad una domanda che i più giovani forse si pongono
Perchè la fiera dell’Immacolata ,il vino bianco e le bettole a
Curinga, la terza domenica di ottobre?
Cominciare da troppo lontano nel tempo sicuramente sarebbe un
azzardo, quindi confidiamo su delle supposizioni logiche e su
quei pochi dati della tradizione che abbiamo e conosciamo.
Il triduo religioso con la fiera cadono a cavallo della terza
domenica di ottobre e viene comunemente detta “A Mmaculata
d’a χera” per distinguerla dalla solenne festa che si svolge
in tutto il mondo l’8 dicembre.
Perché quindi, in questo periodo “strano” questa festa dedicata
all’ Immacolata?
Nella perenne lotta di supremazia delle congreghe che esistono a
Curinga, probabilmente per dare un maggiore risalto alla
congrega dell’ Immacolata, questo triduo è stato legato ad una
grande fiera autunnale. Questi eventi possono essere nati in
concomitanza della fondazione della congrega stessa che risale
al 1777. Sappiamo come le economie, fossero legate a filo doppio
al mondo agricolo, basato soprattutto sulla coltivazione della
vite, degli ulivi e dall’ allevamento degli animali domestici,
importantissimi ed essenziali per il sostentamento delle
famiglie.
Or dunque, creare una grande fiera l‘ 8 dicembre per la
solennità dell’ Immacolata, sarebbe stata a rischio eventi
metereologici e forse non sarebbe servita allo scopo che si
prefiggeva, cioè mettere a disposizione dei curinghesi merci di
ogni genere: terre cotte argagni (tiesti, mbumbuli,
pignati, limbi );oggetti di vimini e canne (cisti,
panara, criva); Manufatti in legno ( sieggi,
majddi , casci, pirruocciula, cucchiari;)
Oggetti di rame:
(coddari, vrascieri, pentole;)
oggetti di alluminio ( giarre, stagnati, cannate,
misure varie) inoltre, utensili per il lavoro dei campi
e dell’ artigianato, stoffe, scarpe e gli animali, primi tra
tutti il maiale e l’asino, che entravano a pieno titolo a far
parte della famiglia insieme agli animali da cortile, galli,
galline, conigli, ecc.
I soldi che circolavano nel paese erano veramente scarsi ma
nonostante tutto, quello era il momento di acquistare e vendere,
farsi venditori e compratori; e si vendeva di tutto, le famiglie
mettevano sui banchi le proprie produzioni: lupini, ceci,
fagioli, favino, il primo olio e il primo vino. Questi due
ultimi prodotti hanno, come vedremo, un importanza strategica
per l’economia del paese
La raccolta delle olive iniziava praticamente a fine agosto (scarma
d’agustu) e proseguiva nell’ anno di carica fino a marzo
aprile. Per le raccoglitrici di olive e i braccianti, la prima
paga del lavoro fatto avveniva in concomitanza della fiera
dell’Immacolata, ecco quindi la disponibilità di soldi freschi
da poter spendere in fiera o pagare qualche debito fatto. (Per
amor e di cronaca le raccoglitrici venivano nuovamente pagate
poco prima del Santo Natale e a fine campagna olearia.)
Altro fatto importante il famoso vino bianco di “Salici e di
Trimalu” (luoghi votati esclusivamente alla coltivazione
della vite)
Credo che Curinga abbia questo primato in Italia , di essere il
primo posto dove si beve il vino novello. Le uve vengono
vendemmiate a fine agosto o i primissimi giorni di settembre, le
botti spumeggianti vengono spillate per la fiera dell’
Immacolata
La fiera faceva affluire a Curinga centinaia di χerari e
migliaia di persone che accorrevano dai paesi limitrofi a fare
acquisti
Come ben si intuisce non essendoci macchine, camion, furgoni,
gli unici mezzi erano asini, muli e carri. I “commercianti”
arrivavano qualche giorno prima per occupare i posti migliori e
quindi bivaccavano in paese per più giorni fino al termine della
fiera.
Bisognava industriarsi per dare da mangiare a tanta gente, e chi
meglio delle bettole potevano offrire un riparo, un pasto
caldo e vino a volontà? Oltre alle bettole ufficiali ognuno si
adoperava per dar da mangiare ai χerari e alla gente che
veniva da fuori. Si arredavano alla meno peggio cantine e
magazzini dove il vino bianco ancora ribolliva allegro in botti
di legno.
Si mangiava quello che la natura e la casa offrivano,
essenzialmente prodotti di stagione:
fagioli con olio nuovo,
peperoni e patate, olive schiacciate, cugnetto, noci, lupini,
ma anche vere e proprie leccornie: baccalà schipieci (Baccalà
con patate pomodoro e olive nere), baccalà fritto,
spezzatino di maiale, carne di capra, stighiuoli (
budellini attorcigliati in una “sponza” rametto di
origano, sarde salate e tanto… tanto vino bianco, che
continuava la fermentazione nello stomaco dei χerari.
Vino bianco in anticipo su tutti i paesi limitrofi voleva dire
vendere quasi tutta la produzione e ricavare ancora denaro
fresco.
Il mondo cambia Curinga cambia, ma continuare a far rivivere la
tradizione delle bettole e del vino bianco nuovo, è forse uno
dei modi migliori per conoscerci e riconoscerci, questo stare
insieme davanti ad un piatto di fagioli e ad una caraffa di vino
bianco, forse vuol significare che il nostro cuore ha bisogno
ancor oggi più che mai di questa genuinità intellettuale di
questo ancestrale ricordo che ci fa ancora sperare in un
futuro…..
Cesare Natale Cesareo
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LA FIERA
DELL’IMMACOLATA DI OTTOBRE
Di Giuseppe
Calvieri
già Segretario
della Confraternita dell’Immacolata
Tutti ci siamo chiesti, almeno una volta nella nostra vita,
perché la “Fiera dell’Immacolata” di ottobre? Qual è la sua
origine, la sua storia? Quali legami ha avuto con “Le bettole”?
Bisogna subito precisare che sull’argomento non esiste una
“storia scritta”, ma esistono soltanto delle testimonianze e dei
racconti tramandati dai nostri antenati e dai nostri nonni.
Nemmeno il dr. Sebastiano Serrao durante il suo lungo Priorato
(01/01/1907 = 31/12/1943) ha mai scritto niente su questo
argomento. Si è limitato sempre ad annotare nei suoi puntigliosi
“Conti economici e morali” (*) che presentava all’ inizio di
ogni anno all’Assemblea dei Confratelli, soltanto le entrate e
le spese sostenute sul capitolo di bilancio relativo alla festa
di ottobre. Mio nonno mi ha raccontato ed io ricordo che… La
Fiera dell’Immacolata, che si svolge la terza domenica di
ottobre, secondo i vecchi storici mmaculatisti, i famosi “tonzi
de lu passu” quali mastru Vito Frijia (u ziu Vitu), Pietro
Frijia l’ultimo sacrestano, Tiresuzza Calvieri, Domenico Grasso
(U Priuri), e tanti altri, dovrebbe coincidere con la data di
fondazione della Confraternita dell’Immacolata. Infatti in
nessun altro paese, né limitrofo, né in Italia in questa data si
festeggia la Madonna dell’Immacolata. Sulla data di fondazione
della Confraternita non si hanno neanche notizie precise. Si sa
solo, come risulta dai documenti esistenti nell’archivio della
Confraternita e come ha scritto il 10 maggio 1944 nella
relazione presentata alla Sacra Congregazione del Concilio
presso la Santa Sede il Priore dr. Bernardo Bevilacqua che, nel
1777 la Confraternita per poter continuare a vivere, dovette,
come tutte le altre consorelle, chiedere il Regio Assenso al Re
Ferdinando IV di Borbone: in esso si legge che la Confraternita
fu eretta da “tempo immemorabile”. (*) Dalle relazioni dei
Vescovi stilate durante le visite pastorali nella Confraternita,
consultabili nell’archivio storico della Diocesi di Lamezia
Terme, si è rilevato che nell’anno 1640 esisteva in Curinga, nel
luogo ove oggi sorge la chiesa della Confraternita
dell’Immacolata, un’ antica chiesetta dedicata a S. Nicola di
Bari. In essa vi erano due altari: quello maggiore dedicato al
Santo che dava il nome alla chiesa e l’altro alla Concezione
della Beata Vergine. L’erezione di tale altare dedicato alla
Vergine Immacolata risale certamente ad epoca anteriore, se nel
1640 esso era già oggetto di generale devozione.(*) Ecco come si
spiegherebbe perché questa festa dedicata all’Immacolata in
questo strano periodo. A conclusione del triduo in onore della
Madonna fino all’anno 1968, veniva effettuata la rituale
processione per le vie del paese. Dal 1969 in poi, dopo i gravi
danni subiti dall’edificio della chiesa in seguito al crollo
della strada provinciale avvenuto la notte del 16 dicembre 1968
e dopo l’interdizione al culto dell’edificio per i successivi
otto anni, la processione non venne più effettuata. Fino agli
anni settanta a lu Chianalari (Piano delle Aie, allora periferia
del paese) si svolgeva anche la fiera del bestiame: con
l’occasione si comprava e si vendeva di tutto: lu puarcu, li
polli, gaddhini, poseddha, ciceri, olio e soprattutto vino
bianco. I contadini, specialmente i “muntagnari”, aspettavano
questa fiera per vendere e/o comprare a vaccareddha, lu
vitieddhu, lu ciucciu. Successivamente con l’entrata in vigore
di nuove leggi questa fiera è stata abolita per motivi igienici
e sanitari. Quando ancora i camion, gli autocarri e le auto non
esistevano o ce n’erano pochissime i commercianti arrivavano
almeno una settimana prima con i carri trainati dai buoi e
costruivano loro stessi i banchi di vendita. Sotto i banchi
ricavavano con le tavole di legno anche i loro ricoveri per la
notte. Alcuni prendevano in fitto magazzini (catoja) vicini ai
luoghi di svolgimento della fiera. I “barracchi” (attuali
negozi) di Piazza Immacolata, per lo svolgimento di questa
fiera, venivano momentaneamente svuotate dagli artigiani che le
detenevano in fitto e venivano fittate a “li vindituri”. Questo
veniva già stabilito nei contratti di fitto delle baracche
stesse: si fittavano da novembre a settembre di ogni anno e
consentiva una cospicua entrata aggiuntiva, certa ed immediata
alla Confraternita, come risulta nella contabilità annuale
presentata dai Priori pro – tempore.(*) Naturalmente questi
“vindituri” durante la loro permanenza dovevano mangiare. Ma
dove mangiare? Non esistevano i ristoranti. Esistevano soltanto
le bettole per la vendita del vino e donn’Angela a Petrisa
(l’attuale bar Centone) che preparava da mangiare. Ecco, quindi,
che durante questo periodo di fiera, i produttori di vino
aprivano delle improvvisate “bettole” per la maggior parte ‘nto
catuaju dove erano state sistemate le botti del vino. Queste
bettole venivano segnalate all’esterno “cu na frasca de livara”
e l’immancabile bottiglietta (de gazzosa) piena di vino bianco
appesa ad un lato della porta d’ingresso. Nel prosieguo degli
anni i “bettulieri” improvvisati sono sempre andati ad aumentare
di anno in anno (non esistevano ancora gli obblighi di legge, la
paura della Finanza e gli scontrini): chi non ricorda a
Petricola, Gargirussu, mastru Natali u Carrieru, u Notturnu e
“Pepponi” che preparava la trippa e patati, baccalà schipiaci e
li stigghuali cu lu …. posiddhu? Nelle famiglie, invece, oltre a
la trippa e patati, alivi scacciati, poseddha, baccalà e pipi de
curina, veniva preparata “na cista de zippuli” da consumarsi (i
restatini) anche nei giorni successivi a merenda e colazione,
riscaldate a lu fhocularu mpilati a lu spitu. Il tutto veniva
accompagnato con il vino bianco novello. Il vino bianco,
considerato dai Curinghesi da sempre un vino “minore” veniva
consumato e/o venduto subito (si vendemmiava normalmente dopo la
festa della Madonna del Soccorso (08 settembre) ed aveva anche
lo scopo di far ritardare mu si “percia” la botte del vino rosso
per risparmiarlo e per farlo durare più a lungo. Con quanto
sopra riportato e scritto non ho la presunzione di avere
“scritto la storia” della festa e della fiera di ottobre. Ho
voluto soltanto offrire il mio piccolo contributo per far
conoscere alle nuove generazioni e riportare alla mente dei più
anziani antichi ricordi, usi e tradizioni del nostro bel paese
che i nostri padri ci hanno tramandato come un prezioso tesoro
da custodire gelosamente.
Giuseppe Calvieri
già Segretario della
Confraternita dell’Immacolata
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