Il santo della settimana - San Giovanni Bosco
Curinga, 31 gennaio 2015
Grande apostolo dei giovani, fu loro padre e guida alla salvezza con il metodo della persuasione, della religiosità autentica, dell’amore teso sempre a prevenire anziché a reprimere. Sul modello di san Francesco di Sales il suo metodo educativo e apostolico si ispira ad un umanesimo cristiano che attinge motivazioni ed energie alle fonti della sapienza evangelica. Fondò i Salesiani, la Pia Unione dei cooperatori salesiani e, insieme a santa Maria Mazzarello, le Figlie di Maria Ausiliatrice. Tra i più bei frutti della sua pedagogia, san Domenico Savio, quindicenne, che aveva capito la sua lezione: “Noi, qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri”. Giovanni Bosco fu proclamato Santo alla chiusura dell’anno della Redenzione, il giorno di Pasqua del 1934. Il 31 gennaio 1988 Giovanni Paolo II lo dichiarò Padre e Maestro della gioventù, “stabilendo che con tale titolo egli sia onorato e invocato, specialmente da quanti si riconoscono suoi figli spirituali”.
Giovanni Bosco nasce il 16
agosto 1815 in una modesta
cascina nella frazione collinare
“I Becchi” di Castelnuovo d’Asti
(oggi Castelnuovo Don Bosco): è
figlio dei contadini Francesco
Bosco (1784-1817) e Margherita
Occhiena (1788-1856).
Quando Giovanni aveva due anni,
il padre contrasse una grave
polmonite che lo condusse alla
morte il 12 maggio 1817, a soli
33 anni. Francesco Bosco lasciò
la moglie vedova a 29 anni, con
tre figli da crescere: Antonio
(1808-1849, figlio della prima
moglie), Giuseppe (1813-1862) e
Giovanni; inoltre la madre
dovette provvedere al
mantenimento e all’assistenza
della suocera: Margherita Zucca
(1752-1826), anziana e inferma.
Erano anni di carestia e “Mamma
Margherita”, come sarà sempre
chiamata dai Salesiani, dovette
lottare e lavorare i campi con
grande sacrificio per assicurare
il sostentamento alla famiglia e
anche per assecondare i talenti
scolastici di Giovanni, malvisto
dal fratellastro Antonio, il
quale considerava tempo e denaro
gettati quell’occuparsi di
libri, mentre lui era costretto
a zappare la terra.
A nove anni il piccolo Giovanni
fece un sogno e da allora, fino
alla fine dei suoi giorni,
continuerà ad essere visitato da
sogni-rivelazioni che gli
indicheranno la sua strada e lo
faranno portavoce di profezie
dirette ai singoli, alle
società, ai suoi amati giovani,
alla Congregazione salesiana,
alla Chiesa. Lui stesso definì
“profetico” quello dei nove anni
e che più volte raccontò ai
ragazzi del suo Oratorio: gli
pareva di essere vicino a casa,
in un cortile molto vasto, dove
si divertiva una gran quantità
di ragazzi. Alcuni ridevano,
altri giocavano, non pochi
bestemmiavano. Al sentire le
bestemmie, egli si lanciò in
mezzo a loro, cercando di
arrestarli usando pugni e
parole. Ma in quel momento
apparve un uomo maestoso,
nobilmente vestito: il suo viso
era così luminoso che egli non
riusciva a guardarlo. Lo chiamò
per nome e gli ordinò di
mettersi a capo di tutti quei
ragazzi. Giovanni gli chiese chi
fosse colui che gli comandava
cose impossibili: “Io sono il
figlio di colei che tua madre ti
insegnò a salutare tre volte al
giorno”. In quel momento
apparve, vicino a lui, una donna
maestosa, e in quell’istante, al
posto dei giovani, c’era una
moltitudine di capretti, cani,
gatti, orsi e parecchi altri
animali. La Madonna gli disse:
“Ecco il tuo campo, ecco dove
devi lavorare. Cresci umile,
forte e robusto, e ciò che
adesso vedrai succedere a questi
animali, tu lo dovrai fare per i
miei figli”. Fu così che, al
posto di animali feroci,
comparvero altrettanti agnelli
mansueti, che saltellavano,
correvano, belavano, facevano
festa.
Proprio dopo questo sogno (i
sogni, come don Bosco li
chiamava, possono definirsi
anche “visioni”, come ha
dichiarato il suo primo
biografo, Giovanni Battista
Lemoyne S.D.B., 1839-1916), nel
giovane Bosco si accese la
vocazione.
Per avvicinare i ragazzini alla
preghiera e all’ascolto della
Santa Messa imparò i giochi di
prestigio e le acrobazie dei
saltimbanchi, attirando in tal
modo coetanei e contadini, i
quali venivano da lui invitati a
recitare il Santo Rosario e alla
lettura del Vangelo. Il 26 marzo
1826 Giovanni prese la Prima
Comunione.
Divenuta insostenibile la
convivenza con Antonio Bosco,
Margherita fu costretta ad
allontanare il figlio dai
Becchi, mandandolo a vivere,
come garzone, a Moncucco
Torinese, presso la cascina dei
coniugi Luigi e Dorotea Moglia,
dove rimase dal febbraio 1827 al
novembre 1829. Nel settembre di
quello stesso 1829 era arrivato
a Morialdo il cappellano don
Giovanni Melchiorre Calosso
(1759-1830), sacerdote
settantenne, il quale, dopo aver
constatato quanto intelligente e
desideroso di studiare fosse il
giovane, decise di accoglierlo
nella propria casa per
insegnargli la grammatica latina
e prepararlo così alla vita
sacerdotale. Un anno dopo,
precisamente il 21 novembre del
1830, don Calosso fu colpito da
apoplessia e, moribondo, diede
al giovane amico la chiave della
sua cassaforte, dove erano
conservate 6000 mila lire, che
avrebbero permesso a Giovanni di
studiare ed entrare in
Seminario. Ma il giovane preferì
non accettare il regalo del
maestro e consegnò l’eredità ai
parenti del defunto.
Quando il 21 marzo 1831 il
fratellastro si sposò, la madre
decise di dividere l’asse
patrimoniale affinché Giovanni
potesse tornare a casa e
riprendere da settembre gli
studi a Castelnuovo, con la
possibilità di una semi-pensione
presso Giovanni Roberto, sarto e
musicista del paese, dal quale
apprese tali arti. Imparò anche
altri mestieri, come quello del
falegname e del fabbro, e con
queste abilità riuscirà a
fondare diversi laboratori
artigianali per i ragazzi
dell’Oratorio di Valdocco.
Per continuare a studiare a
Chieri lavorò come garzone,
cameriere, addetto alla stalla.
Alla scuola chierese fondò la
“Società dell’Allegria”,
attraverso la quale, in
compagnia di alcuni bravi
giovani, tentava di far
avvicinare alla preghiera i
coetanei, divertendoli con i
suoi giochi di prestigio e i
suoi numeri acrobatici.
In quegli anni strinse forte
amicizia con Luigi Comollo
(1817-1839), nipote del parroco
di Cinzano. Il giovane era
sovente oggetto, per bontà e
innocenza, dei maltrattamenti
dei compagni: veniva insultato e
picchiato, ma egli accettava con
un sorriso o una parola di
perdono queste sofferenze. Il
giovane Bosco, dal canto suo,
non sopportava di vedere l’amico
subire in questo modo, perciò
con la sua notevole forza
fisica, lo difendeva,
azzuffandosi con gli aggressori.
L’amicizia d’anima che si
stabilì fra Luigi e Giovanni
divenne fondamentale per la
santità di quest’ultimo. Don
Bosco stesso affermerà nelle sue
Memorie: «Posso dire che da lui
ho cominciato a imparare a
vivere da cristiano» e comprese
quanto fosse essenziale la
salvezza dell’anima, tanto che
il suo programma di vita,
ispirato a Gn. 14,21, fu sempre:
«Da mihi animas, coetera tolle»
(“Dammi le anime, prenditi tutto
il resto”) e questo motto era
scritto a grossi caratteri su un
cartello che teneva nella sua
camera a Valdocco.
Nell’autunno del 1832 iniziò la
terza Grammatica. Nei due anni
seguenti frequentò le classi di
Umanità (1833-34) e Retorica
(1834-35), dimostrandosi un
allievo eccellente, di
sorprendente memoria e
appassionato di libri. Nel marzo
1834, mentre si avviava a
terminare l’anno di Umanità,
presentò ai Francescani la
domanda per essere accettato nel
loro ordine, ma cambiò idea
prima di andare in convento,
seguendo sia un sogno, contrario
a questa scelta, sia il
consiglio di don Giuseppe
Cafasso (1811-1860); perciò il
30 ottobre 1835 si presentò nel
Seminario di Chieri. dove rimase
fino al 1841, studiando
Dogmatica (lo studio delle
verità cristiane), Morale (la
legge che il cristiano deve
osservare), Sacra Scrittura (la
parola di Dio), Storia
ecclesiastica (storia della
Chiesa dalle origini del
Cristianesimo all’età
contemporanea).
In Seminario Giovanni Bosco
incontrò nuovamente il carissimo
amico Comollo, ma questi, il 2
aprile del 1837, già debole
fisicamente, si spense a soli 22
anni. Nella notte fra il 3 e il
4 aprile, secondo una
testimonianza diretta di
Giovanni Bosco e dei suoi venti
compagni di camera, alunni del
corso teologico, l’amico
apparve, come un rombo di tuono
e sotto forma di una luce che,
per tre volte consecutive,
disse: “Bosco! Bosco! Bosco! Io
sono salvo!”. Il giovane
chierico, profondamente scosso e
turbato, da quel momento in poi
decise di porre la salvezza
eterna al di sopra di tutto.
Il 29 marzo 1841 ricevette
l’ordine del diaconato e il 5
giugno 1841 venne ordinato
sacerdote nella Cappella
dell’Arcivescovado di Torino.
Don Bosco, dopo aver rifiutato
una serie di incarichi, su
invito di colui che continuerà
ad essere suo stimato e amato
direttore spirituale, don
Cafasso, decise di entrare, i
primi di novembre del 1841, nel
Convitto Ecclesiastico di San
Francesco d’Assisi di Torino,
fondato nel 1817 da don Luigi
Guala (1775-1848) e dal
venerabile Pio Brunone Lanteri
(1759-1830), perché, constatando
gli errori seminati fra il clero
dal Giansenismo e il vuoto
formativo in cui erano lasciati
i neo-sacerdoti, essi
desideravano offrire una sana
formazione ecclesiastica. La
linea teologica adottata da
Lanteri e da Guala era di stampo
ignaziano ed alfonsiano, più
benigna, misericordiosa e
positiva rispetto a quella
rigorista insegnata alla Facoltà
teologica dell’Università di
Torino. Gli allievi del
Convitto, nel quale don Cafasso
entrò nel 1834, venivano anche
avviati all’attività pastorale
con diverse esperienze nelle
parrocchie della città. Si
curavano poi, in modo
particolare, la vita spirituale
e la preghiera.
Nella terra subalpina prendono
vita i moti risorgimentali e la
Chiesa, duramente perseguitata
sotto Napoleone (1769-1821), ora
si appresta, dopo il Regno del
cattolico Carlo Alberto
(1798-1849), salito al trono nel
1831 (molto attento alla riforma
del clero, avendo stabilito un
fecondo accordo con Papa
Gregorio XVI, 1798-1849) a
ricevere feroci attacchi dal
governo liberale e massonico.
In seguito alla tragica guerra
dichiarata dall’Illuminismo e
dalla Rivoluzione Francese alla
Chiesa, sorse un’energica
risposta di ricristianizzazione:
l’Amicizia Cristiana, fondata
dallo svizzero Nikolaus Joseph
Albert von Diessbach
(1732-1798), un militare al
servizio di Casa Savoia che,
dopo la conversione dal
Calvinismo, entrò nella
Compagnia di Gesù. L’Amicizia
Cristiana, iniziativa che,
seppur segreta, ebbe ampia
risonanza in tutta Europa, sorse
fra il 1779 e il 1780 a Torino.
L’eredità di padre Diessbach
venne raccolta da Brunone
Lanteri, fondatore degli Oblati
di Maria, il quale, contro i
seminatori della menzogna e
dell’eresia, fece sorgere
l’Amicizia Cattolica (1817). Con
lui altri amici, devoti del
Sacro Cuore di Gesù, sostennero
la Chiesa e lo fecero leggendo e
studiando testi di sant’Ignazio
di Loyola (1491-1556),
sant’Alfonso Maria de’ Liguori
(1696-1787), san Francesco di
Sales (1567-1622), santa Teresa
d’Avila (1515-1582).
La preparazione di don Giovanni
Bosco nel Convitto durò tre
anni. Proprio in quel tempo
avvenne il fatto che gli aprì la
strada alla missione che fin da
bambino desiderava realizzare:
essere sacerdote fra i giovani e
insegnare loro a conoscere la
dottrina cattolica, ad amare il
Signore e la Madonna, indicando
la strada per la salvezza
dell’anima.
Bartolomeo Garelli, muratore di
16 anni, arrivato da Asti,
orfano, analfabeta, povero,
indifeso, si presentò, l’8
dicembre 1841, nella sacrestia
della Chiesa di San Francesco
d’Assisi e fu il primo ad essere
istruito da don Bosco: egli è il
prototipo di tutti i giovani, di
tutte le famiglie e di tutti i
popoli che san Giovanni Bosco ha
evangelizzato. Proprio con
Garelli nacque l’Oratorio di San
Francesco di Sales e, dopo pochi
giorni, giunsero con lui sei
ragazzini e altri si aggiunsero,
mandati da don Cafasso. Qual era
lo scopo dell’Oratorio fondato
da don Bosco? Si dice che don
Bosco si occupò della gioventù
povera per sollevarla dalla
miseria e dall’ignoranza,
offrendo anche la possibilità di
qualificarsi con un lavoro per
mantenersi dignitosamente nella
vita. Ma, in realtà, l’unico
vero fine dell’azione “sociale”
di don Bosco fu quello di
portare il maggior numero di
anime in Paradiso, partendo
proprio da quelle che la
Provvidenza gli affidava.
[…] Don Bosco, come tutti i
santi, era animato da un fuoco
di carità, vale a dire
dall’amore adorante verso Dio e,
per amorosa obbedienza
all’Onnipotente, da un fuoco
d’amore verso il prossimo; tutto
ciò che fece per gli altri fu
unicamente riflesso del suo
amore verso la Trinità e il suo
amore verso il prossimo ebbe
sempre un unico intento, salvare
le anime, di cui tutto il resto
fu strumento.
Il fondatore dei Salesiani
insegnava, prima di tutto, a
trattare con il mondo senza
farsi schiavi del mondo ed è
proprio questa libertà che
respirarono e vissero i suoi
giovani, i quali, attraverso gli
occhi e le amabili parole di don
Bosco, compresero davvero il
significato delle parole
Paradiso ed Inferno.
Nel corso dell’inverno 1841-1842
egli si adoperò a consolidare il
piccolo Oratorio, ospitato nel
Convitto, dove si teneva il
catechismo festivo con il
consenso dell’Arcivescovo di
Torino, Monsignor Luigi Fransoni
(1789-1862).
Don Bosco cercava, per le vie
della capitale subalpina, i
bambini e i ragazzi che vivevano
di espedienti e di delinquenza:
si recava a Porta Palazzo e in
piazza San Carlo, catturando
questa povera gioventù con la
sua santità e la sua simpatia:
scalpellini, muratori,
stuccatori, selciatori,
quadratori… immigrati dalle
campagne in cerca di
un’occupazione in città e, non
conoscendo nessuno, erano come
degli orfani, esposti a mille
pericoli. Molto buoni ed onesti
erano, invece, i piccoli
spazzacamini, che il fondatore
dei Salesiani difendeva dagli
abusi di chi era più prepotente
di loro.
Insieme a don Cafasso iniziò a
visitare anche le carceri e
inorridì di fronte al degrado
nel quale vivevano giovani dai
12 ai 18 anni, rosicchiati dagli
insetti e desiderosi di mangiare
anche un misero tozzo di pane.
Dopo diversi giorni i carcerati
decisero di avvicinarsi al
sacerdote, raccontandogli le
loro vite e i loro tormenti. Don
Bosco sapeva che quei ragazzi
sarebbero andati alla rovina
senza una guida e quindi si fece
promettere che, non appena
fossero usciti di galera, lo
raggiungessero alla Chiesa di
San Francesco.
La seconda domenica di ottobre
del 1844 diede l’annuncio ai
suoi giovani che l’Oratorio si
sarebbe trasferito da San
Francesco d’Assisi al Rifugio,
fondato dalla marchesa Giulia
Colbert Falletti di Barolo
(1786-1864) a favore delle
ragazze a rischio prostituzione.
Qui don Bosco divenne cappellano
dell’Ospedaletto di Santa
Filomena, un’istituzione
sanitaria per le bambine povere
e disabili, anch’essa fondata
dalla marchesa di Barolo.
Coadiuvato dal teologo don
Giovanni Borel (1801-1873),
riuscì a proseguire l’Oratorio
festivo, la cui vita, però, non
era semplice in quanto la
Marchesa lamentava la presenza
dei tanti ragazzi di don Bosco
in una realtà che era
prettamente femminile e, per di
più, pericolante. Inoltre la
salute del sacerdote, anche a
motivo del suo indefesso lavoro,
era molto provata: sputava
sangue.
Dopo un periodo trascorso
all’aperto, finalmente, il 12
aprile 1846, giorno di Pasqua,
don Bosco trovò un posto per i
suoi ragazzi, una tettoia con un
pezzo di prato: la tettoia
Pinardi a Valdocco. Qui, oltre
all’Oratorio festivo, presero
avvio la realtà educativa, le
scuole serali, la scuola di
musica-canto, i laboratori per
dare una professione ai suoi
amati figli e nel 1854 don Bosco
diede inizio alla Società
Salesiana, con la quale assicurò
la stabilità delle sue opere.
Dieci anni dopo porrà, come
aveva visto in sogno, la prima
pietra del santuario di Maria
Ausiliatrice: ancora oggi è
visibile, nella cappella delle
reliquie della basilica, il
punto preciso dove la Madonna
indicò il sito dove sarebbe
sorta.
Nel 1872, con santa Maria
Domenica Mazzarello (1837-1881),
fondò l’Istituto delle Figlie di
Maria Ausiliatrice, con lo scopo
di educare, con il medesimo
spirito salesiano, la gioventù
femminile.
Il metodo educativo di don
Bosco, che si prefiggeva di
formare degli «onesti cittadini
e dei buoni cristiani», e la sua
attività ispirata dall’autentica
carità cristiana hanno raggiunto
tutto il mondo, arrivando anche
nei Paesi di tradizione non
cristiana. Il perdurare e il
moltiplicarsi delle sue opere lo
hanno fatto conoscere e
studiare, tanto che oggi
disponiamo di un’abbondante
bibliografia sulla sua persona e
sul suo stile educativo. Meno
noti, invece, i suoi scritti,
nonostante la sua predilezione
per questo genere di apostolato,
necessario per la cresciuta
alfabetizzazione fra il popolo,
per la mancanza di libri idonei
alle persone semplici e per
l’aumento della stampa
anticattolica e anticlericale.
Per lui, che aveva chiesto nella
sua prima Santa Messa
l’efficacia della parola, un
mezzo più adatto non poteva
esistere.
Sono da ricordare le diverse
collane pubblicate per molti
anni, che hanno avuto un grande
successo: Letture Cattoliche,
Biblioteca della Gioventù
Italiana, Selecta ex Latinis
Scriptoribus, Latini Christiani
Scriptores, “Bollettino
Salesiano”, Letture Ascetiche,
Letture Drammatiche, Letture
Amene, Bibliotechina
dell’Operaio. Don Giovanni Bosco
condivideva l’opinione del
cardinale Louis-Edouard Pie
(1815-1880), modello e punto di
riferimento di san Pio X
(1835-1914): «Quando tutta una
popolazione, fosse anche la più
devota e assidua alla Chiesa e
alle prediche, non leggesse che
giornali cattivi in meno di
trent’anni diventerebbe un
popolo di empi e di rivoltosi.
Umanamente parlando non vi è
predicazione di sorta che valga
contro la forza della stampa
cattiva».
Per confutare i protestanti si
servì sempre della roccia della
Tradizione, attingendo
particolarmente alle fonti dei
Padri e Dottori della Chiesa.
L’autore sosteneva che i
protestanti facevano ogni sforzo
per imitare gli gnostici nel
muovere guerra agli insegnamenti
della Chiesa Cattolica. Don
Bosco combatté tenacemente
contro le idee protestanti e
contro i disegni liberali e
massonici del Risorgimento;
avvertì e ammonì lo stesso
Vittorio Emanuele II (il sovrano
che tradì la cattolicità di Casa
Savoia, apparentandosi alle
leggi massoniche): con una
profezia gli annunciò che, se
avesse firmato la legge Rattazzi
(approvata il 2 marzo 1855), per
la soppressione degli Ordini
religiosi e l’incameramento dei
loro beni da parte dello Stato,
ci sarebbero stati “grandi
funerali a corte” e che “La
famiglia di chi ruba a Dio è
tribolata e non giunge alla
quarta generazione”: si
avverarono entrambi i vaticini.
Egli rientra, a pieno titolo,
fra i protagonisti della storia
della Chiesa militante.
Attraverso libri e articoli,
omelie e conferenze lottò,
divenendo anche oggetto di
vilipendi e di attentati (si
salvò sempre grazie
all’intervento celeste e al
“Grigio”, il misterioso e grosso
cane grigio che compariva al
bisogno per poi sparire nel
nulla), per difendere la Fede,
Santa Romana Chiesa, il Sommo
Pontefice, diventando anche
confidente di Pio IX
(1792-1878), il quale chiese a
lui consiglio per la nomina dei
nuovi vescovi da collocare nelle
diocesi vacanti, dove era
passata la persecuzione
liberal-massonica.
Tre furono i suoi “Amori
bianchi”: l’Eucarista, la
Madonna, il Papa. Celebre il
cosiddetto “Sogno delle due
colonne”, considerato profetico
per il futuro della Chiesa: il
sogno, raccontato dal santo la
sera del 30 maggio 1862,
descrive una terribile battaglia
sul mare, scatenata da una
moltitudine di imbarcazioni
contro un’unica grande nave, che
simboleggia la Chiesa con il suo
comandante, il Sommo Pontefice.
La nave, colpita ripetutamente,
viene guidata dal Papa ad
ancorarsi, sicura e vittoriosa,
fra due alte colonne emerse dal
mare: quella dell’Eucaristia,
simboleggiata da una grande
Ostia con la scritta “Salus
credentium”, e quella della
Madonna, simboleggiata da una
statua dell’Immacolata, con la
scritta “Auxilium Christianorum”.
Specialissima la sua devozione
per Maria Vergine, in
particolare per Maria
Ausiliatrice e per Maria
Immacolata. Dopo san Pio V
(1504-1572), con la vittoria dei
Cristiani nella Battaglia di
Lepanto del 1571, Innocenzo XI
(1611-1689), con la liberazione
di Vienna dall’assedio dei
Turchi (1683), e Pio VII
(1742-1823), che stabilì la
festa di Maria Ausiliatrice il
24 maggio 1815, in
ringraziamento a Maria
Santissima per la sua
liberazione dalla ormai
quinquennale prigionia
napoleonica, il grande diffusore
della devozione a Maria Auxilium
Christianorum, alla quale la
Chiesa attribuisce la sconfitta
di tutte le eresie, è stato
proprio san Giovanni Bosco.
Con una solenne celebrazione,
nella basilica di Maria
Ausiliatrice di Torino, l’11
novembre 1875 si diede a
battesimo la prima spedizione
missionaria salesiana, diretta
in Argentina e preconizzata da
don Bosco. Guidati da don
Giovanni Cagliero (1838-1926),
che diventerà il primo vescovo e
il primo cardinale salesiano, i
missionari si imbarcarono dal
porto di Genova il 14 novembre.
San Giovanni Bosco morì all’alba
del 31 gennaio 1888 e venne
sepolto nell’Istituto salesiano
“Valsalice”, sulla precollina
torinese, per venire poi, con la
beatificazione, traslato nel
santuario di Maria Ausiliatrice.
Il 2 giugno 1929 Pio XI lo
beatificò, dichiarandolo santo
il 1º aprile 1934, giorno di
Pasqua.
[…]
Don Bosco indica al cattolico,
allora come oggi, la strada da
percorrere per vivere in sancta
laetitia su questa terra e per
godere la beatitudine eterna
dopo la morte.
Tutta la sua esistenza, di
profonda umiltà, si dipana fra
gli arcani del cielo e le
realizzazioni dei progetti
divini in terra: l’anima
autentica di questo uomo di Dio,
orgoglioso della sua divisa di
ministro dell’altare, è imbevuta
di misticismo. Il sogno, la
visione e il realismo
nell’esistenza di questo padre e
maestro dei giovani si
sorreggono a vicenda, nutrendosi
reciprocamente. Con la Croce di
Cristo, pronto a condividerla
con le mortificazioni e le
penitenze che non lesinava, ha
redento migliaia e migliaia di
persone. Un santo sacerdote che
ha sperimentato ciò che può
realizzare la Grazia e che fu in
grado di infondere nei suoi
figli il segreto dell’esistenza:
«Tutto passa: ciò che non è
eterno è niente!».
Il demonio veniva spesso a
fargli visita nelle ore
notturne, per non farlo riposare
ed egli accettava, al fine di
distrarre il maligno dalle anime
dei suoi ragazzi. Scrutatore dei
cuori, taumaturgo (moltiplicava
ostie, pane, castagne; resuscitò
anche un morto), profezie,
sogni, visioni, miracoli,
bilocazioni «di cui Dio aveva
arricchito il suo Servo, resero
universale l’opinione che, per
provvidentissima disposizione
divina, allo scopo di promuovere
la restaurazione cristiana
dell’umana società, deviata dal
sentiero della verità, Dio
avesse appunto inviato Giovanni
Bosco, l’uomo cioè che, di umili
natali, ignoto e povero, senza
alcuna ambizione e cupidigia, ma
sospinto dalla sola carità verso
Dio e verso il prossimo,
zelantissimo della gloria di
Dio, benemerentissimo della
civiltà e della religione,
riempì il mondo del suo nome»
(Lettera decretale di Pio XI
Geminata Laetitia che proclama
Santo Giovanni Bosco. Roma, San
Pietro 1° aprile 1934).
Come nel Medioevo, dopo le orde
barbariche, i monaci avevano
gettato le fondamenta di una
civiltà cristiana,
culturalmente, artisticamente,
scientificamente ed
economicamente solida, così don
Bosco, contemporaneamente alla
nefasta azione delle orde
rivoluzionarie, lanciò contro di
essa una sfida difensiva e
offensiva di travolgente
dimensione, puntando sul centro
nevralgico e strategicamente
decisivo per la costruzione di
una società, ovvero l’educazione
della gioventù, la quale avrebbe
dovuto seguire tre linee
(pedagogia preventiva): la
ragione, la religione,
l’amorevolezza.